Resoconto seduta n. 137 del 17/06/2003
La seduta inizia alle 11,40



Congedo

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il consigliere Grandinetti.



Proposte di legge (Discussione generale):
«Riordino del servizio sanitario regionale» Giunta (134)
«Riordino del servizio sanitario regionale della regione Marche» iniziativa popolare (165)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le proposte di legge n. 134 ad iniziativa della Giunta e n. 165 ad iniziativa popolare. Riprendiamo la discussione interrotta ieri sera.
Ha la parola il consigliere Mollaroli.

ADRIANA MOLLAROLI. Riprendiamo la discussione su questo importante atto all'approvazione del nostro Consiglio in questa seconda giornata di dibattito che ha, al centro della discussione, come sappiamo, una questione di straordinaria importanza quale quella del futuro della sanità della nostra regione. Abbiamo scelto — non era volontà della maggioranza — di separare la discussione tra la legge di riordino e il piano. Noi avremmo preferito, così come abbiamo chiesto alla Giunta in tutti questi mesi e così come abbiamo ottenuto, non separare la discussione della proposta di riordino da quella del piano. Questo è dimostrato dal fatto che la Giunta regionale ha presentato la proposta di riordino circa un anno fa, arrivata in Commissione soltanto pochi mesi fa, perché con forza la maggioranza ha ritenuto che non si potessero dividere queste due questioni.
La ragione da cui è partita la proposta di riorganizzare il nostro sistema sanitario, dipende, oltre che da una rilettura della sanità del nostro territorio, dalle trasformazioni profonde intervenute nella società marchigiana in questi anni e anche dallo stato di applicazione del vecchio piano, tutte questioni che il piano sanitario, del quale discuteremo domani, anche da un'altra questione, una questione che è stata ritenuta drammatica: quella della spesa in sanità. E' vero che per molti di noi, in particolare per la cultura della sinistra, la spesa in sanità è ritenuta un investimento in salute, un investimento nel sistema di protezione sociale e nella difesa del diritto alla salute, ma sappiamo che la questione delle risorse è una questione importante con la quale fare i conti.
Ha esagerato la nostra Giunta regionale a drammatizzare la questione della spesa? Non credo, perché il contesto nel quale ci siamo trovati ad operare in questi anni, in particolare da quando governa il centro destra nel nostro paese è esattamente questo: meno risorse pubbliche per il sistema della salute, meno risorse pubbliche per le politiche del welfare in generale, meno risorse pubbliche per l'istruzione. Sappiamo che l'ossigeno economico e la centralità politica per il sistema del welfare non sono al centro dell'interesse del nostro Governo. Ricordo soltanto come pochi mesi fa abbiamo dovuto tenere una battaglia forte per impedire che venissero tagliate le risorse per il fondo unico, ricordo come questo Governo ha approvato una modifica che riguarda il prelievo fiscale nel nostro paese, quindi la preoccupazione economica credo che sia tutta fondata.
Anche se le risorse fossero aumentate e il nostro Governo avesse deciso di allineare l'Italia rispetto agli altri paesi Europei che, come sappiamo, investono in sanità e destinano molte più risorse a questo settore, credo che sarebbe un principio di buona e sana amministrazione quello di spendere bene le risorse pubbliche, spenderle in maniera consapevole, controllabile, verificabile e correggibile.
Arriviamo oggi, fortunatamente, all'approvazione di questi atti, avendo una spesa più sotto controllo, un disavanzo più contenuto, governabile, una lettura scientifica della criticità del sistema, come si riscontra dalle pagine 20 e successive del piano e dalle pagine 33 e 34. Non credo che questi erano risultati scontati e che siano obiettivi trascurabili.
Per giungere a questo punto abbiamo percorso un lungo viaggio, lungo temporalmente, agitato da discussioni e contrasti non del tutto sopiti, in particolare con le organizzazioni sindacali, ma spero e mi auguro che questo trovi una situazione positiva e mi pare che in questo senso si stia lavorando, ma sicuramente un percorso molto partecipato.
La partecipazione è oggi ritenuta dagli esperti della moderna programmazione un dato irrinunciabile. Si parla di piani regolatori partecipati, di bilanci partecipati, tutti abbiamo aperto gli occhi al mondo anche rispetto a questo, abbiamo ritenuto l'esperienza di Porto Alegre come una del più significative, proprio perché richiama questo aspetto: progettare in maniera partecipata.
Accade addirittura che per predisporre alcuni atti, laddove non avvenga spontaneamente la partecipazione, la si costruisca in maniera sistematica. Questo è un bene. Nel nostro caso la partecipazione non è mancata. Sicuramente ha contribuito a sollecitare la discussione una proposta — mi riferisco alla 134, quella sulla riorganizzazione del servizio sanitario regionale e sull'Asur — che per la carica innovativa e per l'originalità è stata protagonista.
Questo ha probabilmente prodotto una distorsione e uno strabismo, caricando di maggiore attenzione il contenitore rispetto al contenuto e la riorganizzazione a svantaggio del piano sanitario. Questo è possibile. Ma io credo che sia accaduto anche altro. E' accaduto cioè che in molti, cittadini, istituzioni locali, la rete dell'associazionismo e della rappresentanza sociale e sindacale, hanno ripreso ad occuparsi di sanità. Questo non era scontato e non è stato dato in questi anni.
Ricordo come esperienza personale che facevo l'assessore nel 1998 quando è stato approvato il secondo piano sanitario, in una città significativa e non c'è stata la stessa partecipazione, anche da parte dei territori, alla costruzione del secondo piano. Erano distratti i territori? Avevano concertato più serenamente e segretamente, senza rumori obiettivi e contenuti? Non hanno esercitato con autorevolezza il ruolo che la normativa nazionale assegna loro? Può anche essere, ma è certo che un risultato positivo questo nostro processo trascina con sé: il recupero della valenza politica delle scelte sulla salute.
Perché la proposta di riorganizzazione ha suscitato tanto interesse, l'interesse prevalente? Perché lo stesso movimento sindacale, che è presente anche in questo momento in aula ha deciso di produrre una manifestazione, una mobilitazione oggi, nella giornata in cui si discute il riordino e non domani, quando si discuterà il piano, quando si discuteranno contenuti e servizi? Perché oltre a ritenere che a mio parere esiste una valenza forte tra contenitore e contenuto, tra forma e contenuto, nel discutere il contenitore, cioè la proposta di riordino, noi discutiamo di un aspetto importante: chi governa la sanità, chi decide sulla sanità e su che cosa si decide.
Ho creduto francamente alla necessità di rivisitare questo sistema. Appartengo al gruppo dei Ds di Pesaro, che ieri sono stati ritenuti, nella discussione che c'è stata, i protagonisti di questa proposta e anche coloro che per primi l'hanno sollecitata. Io non mi vergogno di questo: so che appartenere ai Ds di una provincia come quella di Pesaro significa appartenere ad una parte importante della comunità politica regionale, ad un territorio che governa da anni e con grande soddisfazione e consenso le politiche locali, i governi locali, quindi rivendico, senza minimizzare, l'appartenenza a chi ha pensato questa proposta.
So anche bene — l'ho saputo fin dall'inizio — che il modello che stavamo presentando nelle Marche era un modello ambizioso, un modello inedito, che muoveva utilizzando pienamente i poteri della legislazione concorrente, che la modifica del titolo V della Costituzione consentiva. So bene che questo poteva significare anche contraddire parzialmente la normativa recente. Ma il progetto al quale noi abbiamo pensato, aveva questo scopo: recuperare alcuni aspetti insopportabili dell'aziendalizzazione, come il potere autarchico e autoreferenziale dei manager della sanità e la riconsiderazione del ruolo degli enti locali e dei Comuni. Il modello che abbiamo presentato potrà essere anche profondamente corretto e rispetto a questo non ho assolutamente problemi, se ciò determinerà un consenso di parti sociali importantissime come sono la Cisl e la Uil che come sappiamo rappresentano nel nostro territorio l'80% dei lavoratori della sanità e i lavoratori della sanità sono oltre 18.000, quindi non voglio assolutamente escludere questo. Così come so bene che il modello di governo del centro-sinistra in generale ma anche il modello marchigiano e del governo locale del nostro territorio ha sempre avuto, come referente principale e come protagonisti fondamentali le organizzazioni sindacali. Ma credo che il modello sul quale stiamo ragionando, che seppur corretto penso possa mantenere una funzionalità, ragionava su questo: l'insieme degli enti locali della nostra regione chiedeva di partecipare alla costruzione dei "progetti salute". Addirittura io ritenevo che nell'art. 1 della legge 134 si dovesse distinguere tra la funzione della partecipazione dei soggetti della rappresentanza sociale e la co-decisione degli enti locali, considerato che l'art. 114 della nuova Costituzione parla chiaro, dice da chi è oggi fatto lo Stato. E lo Stato, come sappiamo è costituito dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni. In questo contesto ho ritenuto che questa proposta avesse un senso.
Ma la ragione che mi ha spinto a ritenere praticabile questa scelta è stata anche un'altra. Io ritengo, anche dalla mia esperienza personale, che quando si parla di servizi alla persona, di servizi sociali, di servizi sanitari, di servizi educativi non è mai così facile distinguere tra l'indirizzo e la gestione. Io mi sono confrontata con questi problemi e spesso mi sono chiesta: decidere un menù di una scuola dell'infanzia o decidere di appaltare un servizio di pulizia rispetto ad una ditta privata ad una cooperativa sociale che inserisce handicappati, è una scelta di gestione o contiene in sé anche degli indirizzi politici? Per questo quando abbiamo a che fare con servizi così delicati quali quelli che riguardano la salute delle persone e i servizi alla persona in genere, è sempre difficile definire con nettezza l'indirizzo e la gestione. Questo non vuol dire che sono una nostalgica dei comitati di gestione delle Asl fondati naturalmente sulle rappresentanze partitiche, ma sul ruolo più forte delle istituzioni, anche delle istituzioni locali, questo sì, lo credo fermamente.
Da che cosa nasceva quel modello 1, 13, 24 sul quale abbiamo discusso in queste ore? Oltre alle questioni già dette, quelle di una Regione che chiamava l'insieme degli enti locali a ridefinire le politiche nella sanità, credo che mantenere con forza il numero delle 13 zone e non pensare ad una semplificazione sulle province non significava negare il ruolo che l'istituzione-Provincia ha. L'istituzione-Provincia è un'istituzione importante, governa e partecipa a numerosi processi, ha poteri significativi, ma io ritengo che sarebbe stato un errore rimettere in discussione le 13 zone, perché in questi anni le 13 Asl non sono soltanto state dei territori, un ambito geopolitico ma sono diventate una comunità politica, nel senso che i sindaci, le rappresentanze sociali di quei territori, le rappresentanze delle associazioni hanno iniziato a parlarsi, a lavorare insieme, a conoscere il sistema e a perfezionarlo.
Noi abbiamo spesso ragionato su quali possono essere gli ambiti ottimali in materia di gestione dei servizi, ci stiamo ancora interrogando su questo. Io ritengo che quell'ambito con quella dimensione dovesse essere mantenuto. Così come l'idea di semplificare i 36 distretti sanitari e riportarli a 24 mi pareva un'idea convincente, visto che da poco tempo abbiamo in itinere nella nostra regione un processo di riforma altrettanto importante e significativo, che è quello della riforma dei servizi sociali, quindi l'integrazione socio-sanitaria che è un altro asse fondamentale della riforma, ha bisogno di essere così ripensato. Quindi, dentro quell'asse c'era questo sistema. Non vedo nel processo in atto salti nel buio ma vedo rischi calcolati, vedo anche un obiettivo fondamentale che è quello che ci vogliamo dare, di mettere al riparo il servizio sanitario pubblico della nostra regione dai tentativi di privatizzazione che il Governo nazionale porta avanti in maniera molto sfrontata in queste ore e le Regioni debbono attrezzarsi per proteggersi da questo. Noi questo stiamo facendo.
Ma nel piano, complessivamente sono contenute anche altre sfide significative, che sono quelle della riorganizzazione della rete ospedaliera, per dare più risposte agli anziani non autosufficienti, affrontare le nuove fragilità sociali, ri-orientare la spesa a vantaggio della prevenzione e della sicurezza sui luoghi di lavoro, della sicurezza nelle case e nelle strade. Mi sembrano buoni obiettivi. Certo si debbono raggiungere senza impoverire i territori montani e le zone periferiche.
Io ho provato a fare una valutazione ed anche un calcolo di quanto è diffuso il nostro sistema sanitario nel territorio. La nostra regione è fatta di 246 comuni, l'attuale sistema prevede 13 ospedali di rete, 18 ospedali di polo, 36 distretti sanitari, che diventeranno 24, numerosi poliambulatori, 4 aziende ospedaliere, molti presidi di riabilitazione e di lungodegenza, l'Inrca presente ad Ancona, Appignano e Fermo, la rete dell'emergenza e della riabilitazione, oltre a numerose strutture private accreditate. Ragionando rispetto a questi dati, possiamo affermare che quasi un comune su tre nelle Marche ha presidi oltre il medico di medicina generale e la guardia medica. Quindi una rete di servizi che va salvaguardata, va qualificata, va resa più equa e anche facilmente fruibile e accessibile.
Questa è la sfida della riforma che credo, in questi giorni di discussione, dobbiamo cercare di correggere nel senso del consenso sociale — e mi pare che questo si stia facendo — ma anche nel segno di due altre questioni: rendere questo sistema più equo, con più attenzione verso i soggetti più deboli. Credo che questo noi dobbiamo fare, nell'interesse dei cittadini marchigiani e nell'interesse e nella difesa della sanità pubblica della nostra regione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli.

GUIDO CASTELLI. Faccio un'osservazione che credo possano condividere in molti. Il Presidente della Giunta regionale non c'è. Ci risulta che siano possibili, auspicabili modifiche importanti, non secondarie, all'atto. Quindi delle due l'una: parlare in questo clima ovattato e poco edificante non ci consente di svolgere seriamente il nostro ruolo di consiglieri regionali, quindi o l'assessore Melappioni ci comunica se sono ipotizzabili modifiche importanti e significative all'atto, oppure io credo che ragionare oggi su un atto di cui — tutta Italia, tutte le Marche lo sanno per averlo letto sui giornali — è presumibile possano essere determinate delle modifiche, secondo me non ha senso. A questo punto è più serio sospendere i lavori, a meno che l'assessore Melappioni non sia in grado di manifestare e di evidenziare per lo meno le direttrici di quello che anche Adriana Mollaroli ipotizzava come possibile. Usiamo i periodi ipotetici del quinto grado, inventiamo il quinto grado dell'ipoteticità. Però anche per una questione di dignità di coloro i quali si sono iscritti a parlare penso che non si possa ragionevolmente continuare in questi termini.

PRESIDENTE. Mi pare che l'osservazione sia da non accogliere, perché noi stiamo ai fatti e i fatti ci dicono che questa seduta può andare avanti, anzi deve andare avanti, perché la Giunta è presente e ci sono degli iscritti a parlare.
Ha la parola il consigliere Benatti.

STEFANIA BENATTI. Presidente, assessore, colleghe e colleghi consiglieri, la proposta di Asl unica regionale ha avuto almeno un di indubbio aspetto positivo: quello di aprire un vasto dibattito nella comunità marchigiana in merito alla necessità di adeguare la nostra organizzazione ad un contesto legislativo e istituzionale fortemente cambiato, per far fronte a nuovi, impellenti bisogni di salute e di cura. Al termine di due anni di dibattito abbiamo già ottenuto alcuni risultati, ma soprattutto abbiamo maturato una coscienza comune su alcune prospettive che inevitabilmente dovranno guidare le scelte politiche future.
Tra i risultati già ottenuti ascrivo il commissariamento delle Asl che ha prodotto effetti benefici di contenimento della spesa, in secondo luogo ha permesso alla Regione di riappropriarsi di un preciso ruolo di indirizzo e di controllo. In alcuni casi abbiamo rimarcato come le aziende, in passato, rispondevano più alle richieste localistiche piuttosto che concorrere ad una gestione unitaria delineata a livello regionale. Ciò si traduceva in un aumento della spesa, soprattutto in una programmazione dei servizi che teneva conto della richiesta locale immediata ma rischiava di non produrre una effettiva risposta ai bisogni di salute della popolazione marchigiana nel medio e lungo periodo. Accanto ai risultati parlavo di coscienza comune sulle prospettive. Una prima considerazione divenuta patrimonio comune, sicuramente della maggioranza e di gran parte dell'opinione pubblica marchigiana, è quella che in futuro le risorse destinate alla sanità non aumenteranno, anzi in Italia rischiano di diminuire, dunque dobbiamo ridurre la burocrazia, snellire i servizi amministrativi per non tagliare i servizi ai cittadini.
Ci accingiamo a varare una legge di riordino e un piano sanitario che mantengono elevato il livello dei servizi e di qualità. Una seconda certezza di prospettive ci ha dato questo dibattito sulla riorganizzazione ed è il fatto che lo status quo ammazzerebbe la sanità marchigiana. Fermi non possiamo stare. Qualunque sarà la soluzione finale di questo nostro dibattito, conterrà elementi di innovazione che dovranno però essere sperimentati.
Il contesto politico, legislativo e istituzionale cui facevo riferimento all'inizio dell'intervento richiede la massima tempestività, una coraggiosa capacità di innovare, una prudente sperimentazione per non fare passi falsi.
Il titolo V della Costituzione apre uno scenario tutto nuovo alle competenze ma anche alle responsabilità delle Regioni. Abbiamo capito in questi mesi che l'architettura organizzativa aiuta ma non è tutto. La discriminante del futuro non sarà il numero delle Asl ma la scelta a favore della sanità pubblica o l'appiattimento sul privato, quindi a questo riguardo voglio dire con chiarezza che il centro-sinistra si arrampicherà anche sugli specchi, se necessario, pur di escogitare strumenti nuovi per rispondere a bisogni vecchi e nuovi comunque crescenti della popolazione.
Per il centro-destra la sanità pubblica non è intoccabile, non è una scelta di campo: se non ha i soldi il livello abbassa i livelli di assistenza. In questo nuovo scenario del titolo V della Costituzione, in questo contesto politico di un governo delle destre che vuole abbattere lo Stato sociale costruito dal centro-sinistra noi, oggi, qui stiamo studiando nuove modalità organizzative. E' vero, è un giorno impegnativo per il Consiglio regionale, ma è anche uno di quei giorni in cui sentiamo che possiamo incidere sulle scelte. Non è vero collega Castelli, che non stiamo facendo nulla. Mai come oggi la definizione ultima avverrà in quest'aula, perché saranno i consiglieri regionali che alla fine dovranno votare questa riforma. Non possiamo non sottolineare questa piena riappropriazione anche del ruolo del Consiglio. Dopo avere ascoltato per mesi tutte le voci che si sono volute esprimere fino all'ultimo minuto utile in quest'aula noi faremo la sintesi. Nessuna blindatura dunque. Diamo atto al Presidente della Giunta e all'assessore alla sanità di non avere mai rinunciato all'ascolto delle ragioni di ciascuno ma di avere continuamente lavorato alla mediazione.
Da ultimo voglio fare una considerazione che forse risulterà impopolare, tuttavia il mio ruolo di coordinatore regionale di uno dei partiti di maggioranza, oltre che di consigliere regionale, mi impone di esprimere con chiarezza il pensiero della Margherita sul rapporto tra il capoluogo e il resto della regione e, conseguentemente, sul ruolo delle aziende ospedaliere.
Credo che dobbiamo dire ai cittadini la verità, cioè che una regione di 1.400.000 abitanti non può permettersi di seminare l'alta specializzazione per tutto il territorio. Spesso equivochiamo o, peggio, giochiamo con le parole. L'eccellenza deve essere il patrimonio di ogni struttura sanitaria di questa regione, pubblica o convenzionata e anche privata. Chiunque entri in qualunque servizio, sia esso l'ospedale regionale o il distretto sperduto nella montagna deve avere garantita l'eccellenza della prestazione. l'alta specializzazione invece consiste in un numero limitato di prestazioni che richiedono altissime professionalità, apparecchiature costose e sofisticate e soprattutto esperienze acquisite con un elevato numero di interventi. Queste limitate alte specialità non potranno mai riprodursi nelle quattro province ma dovranno necessariamente risiedere nel capoluogo di regione. Noi abbiamo fatto la scelta di investire nel territorio, nei 13 ospedali di rete e non concentrare l'offerta nei 4 ospedali dei capoluoghi di provincia, quindi dobbiamo potenziare Ancona a beneficio di tutti i marchigiani e ai marchigiani dobbiamo dire la verità.
L'alternativa ad Ancona non è Macerata o Pesaro, è Milano, perché se moltiplichiamo per quattro le risorse dell'alta specialità non creiamo quattro poli di eccellenza, abbassiamo il livello di Ancona. Se per esempio abbasso il livello del Cardiologico di Ancona l'utente non va in un'altra provincia, va in un'altra regione. Allora la politica deve, piuttosto, favorire l'integrazione e il coordinamento. Restando all'esempio del Lancisi dobbiamo potenziare il dipartimento scientifico interaziendale, il teleconsulto, già presente in alcune unità cardiologiche della regione. Sarà così possibile mettere in rete tutta la regione e fare del Lancisi il punto di riferimento che dialoga e offre consulenza a tutta la regione. La collaborazione con Pesaro è già iniziata e sta dando i primi risultati.
Agli anconetani però dobbiamo dire che, proprio per questi motivi, deve essere il capoluogo ad avviare la razionalizzazione delle strutture amministrative; Non è la definizione di azienda ospedaliera a fare di un ospedale un riferimento regionale e nazionale, è la volontà politica di investirci risorse e assegnarle ruoli di coordinamento.
Quindi a tutti quelli che invocano il mantenimento dell'azienda ma non fanno proposte per il potenziamento dei due presidi monospecialistici dico che noi crediamo invece che l'azienda ospedaliera "Ospedali riuniti di Ancona" possa mostrare a tutta la regione la volontà del capoluogo di offrire un servizio unitario, completo, di alta specialità, con una modalità organizzativa nuova che nulla tolga al fruitore.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Novelli.

SERGIO NOVELLI. Signor Presidente del Consiglio, Presidente pro-tempore della Giunta, colleghi, non vorrei parlare facendo un po' di geremiadi sul fatto già segnalato da alcuni colleghi che questo è un dibattito zoppo e deplorevole. Ieri sera sembra che avremmo preso la parola, io e altri colleghi, verso la mezzanotte; A parte il disagio personale, avevamo il piacere di rivolgerci, in quell'occasione, per pochi minuti, nell'arco dell'intero dibattito di molte ore di ieri post meridiano e serale, al presidente della Giunta regionale il quale anche oggi non è qui. Non perché non mi senta gratificato dal fatto che l'assessore Rocchi assuma la presidenza, ma perché segnalo che, come ha detto qualcuno, questo è l'atto o sarebbe stato l'atto più significativo dell'intera legislatura. L'assenza del Presidente della Giunta non è una semplice svista, impegnato in cose più importanti, semplicemente tradisce il dato evidente di grave disinteresse e sgarbo istituzionale che, al di là delle chiacchiere questa aula non viene trasformata in bivacco di manipoli dalle manifestazioni di protesta contro il piano, ma viene svilita da coloro che avrebbero il dovere di istituzionalizzare il ruolo, perché arriviamo a questa proposta di cui abbiamo parlato per ore ieri, oggi la collega Mollaroli, con una sincerità di cui la ringrazio ha parlato già all'imperfetto e mi chiedo se l'uso di quel tempo in particolare fosse solo un passaggio preparatorio all'arrivo del trapassato remoto o del congiuntivo imperfetto se avessimo fatto quello che avevamo pensato di fare. Non lo so, parlo non sapendolo. Segnalo che è encomiabile che il Presidente della Giunta e la Giunta abbiano affrontato questa pensata manovra di riordino con un'ampia concertazione, con un dialogo sociale con le parti, i sindacati, gli interlocutori della società civile, ma questa concertazione, sembra sommessamente a chi parla, doveva essere prodromica all'ulteriore fase del confronto con il Consiglio regionale che l'atto avrebbe dovuto licenziare ed esaminare. Che ci sia il confronto con tutti fuori — nelle stanze private, nei giardini, sui giornali — e non ci sia il confronto con il Consiglio regionale sembra, non tanto solo a me ma dovrebbe sembrare anche ai colleghi della maggioranza, una dimostrazione di disinteresse e di spregio nei confronti dell'aula, considerevole.
Posso capire che di fronte a un atto di questa rilevanza possa essere necessario un momento di attenzione e riflessione. Uno degli ultimi colleghi intervenuti ieri notte, ha detto "speriamo che la notte porti consiglio" e io mi sono detto "sarebbe la 726a notte: questo benedetto Consiglio poteva affrettarsi in una delle precedenti occasioni". Comunque non è mai troppo tardi, vediamo se qualcosa viene ad essere corretto. Però credo che sia poco dignitoso dover parlare oggi di una proposta che era presentata come salvifica, che oggi è quasi orfana, che viene annunciata come fortemente ridefinita o ridimensionata dalla stampa locale e noi non sappiamo neanche se dobbiamo confrontarci con la pdl come regolamento e correttezza istituzionale vorrebbe o con le forti correzioni di rotta preannunciate da Il Messaggero e anche dagli altri giornali che oggi abbiamo letto entrando in quest'aula. Mi sembra che sia un grave vulnus.
Entrando nel merito, l'unica cosa certa è che la Giunta regionale in questa vicenda non si è ben comportata. Abbiamo tutti riconosciuto, non solo negli interventi e nel dibattito di ieri ma in quelli di questi anni, che la sanità regionale ha assicurato, grazie al lavoro degli operatori, dei quasi 20.000 dipendenti, delle professionalità di tutti e anche con il ruolo che ha avuto, dei grossi standard qualitativi del servizio prestato, sia territorialmente che nelle strutture specialistiche. Una buona qualità sanitaria di cui eravamo orgogliosi ma di cui stava crescendo la consapevolezza che fosse al di là della portata delle possibilità finanziarie dell'ente regionale se si ammucchiavano deficit anno dopo anno di centinaia di milioni di euro.
A fronte di questa situazione della constatata non mantenibilità economica del livello di prestazioni, non di numero di aziende, di cui i marchigiani hanno potuto godere in questi anni, è stata rappresentata, credo con un'operazione non veritiera e ipocrita, da una parte della maggioranza, l'affermazione che il deficit sanitario era in qualche misura proporzionalmente conseguente e correlabile al numero delle aziende e che alla riduzione del numero di aziende avrebbe corrisposto una riduzione proporzionata del deficit. Ci sembrò non vero, comunque al di là di ogni valutazione soggettiva, se fosse vero e credibile che l'abbattimento del numero di aziende sanitarie locali ospedaliere aveva la possibilità di ricondurre a sostenibilità quello che era e rimane il problema della sanità marchigiana, cioè il deficit, allora questa Giunta si è comportata in maniera sciagurata, perché avendo parlato due anni fa di contenere il numero di aziende e con esso il deficit, ne ha parlato per anni, nulla facendo in concretezza e consentendo che il deficit si accumulasse e si aggravasse; Ora si sente dire che la prospettiva del "dico di fare ma non faccio" potrebbe essere ulteriormente dilatata temporalmente in norma transitoria. Se invece si ritiene, come matematica suggerirebbe, che il problema non è nominalistico di aziende ma reale di mantenimento di servizi e di razionalizzazione degli stessi per far sì che un taglio dei costi non sia abbinato a un identico abbattimento degli standard qualitativi di assistenza, allora non aveva veramente senso, ed è stato altrettanto sciagurato da parte della Giunta, condurre per due anni un dibattito, poi lacerante, poi feroce, come se fosse un problema epocale quello del numero delle aziende, se poi dovesse uscire questa sera e dire "tutto sommato sono due anni che scherziamo, adesso vediamo cosa si può fare per tagliare i costi". Gli scherzi piacciono a tutti, però credo che con questo tipo di scherzi la percentuale del 26% di voti faticosamente raggiunta al referendum non verrà raggiunta alle elezioni perché la gente non dà più retta a questo tipo di scherzosi intrattenitori.
L'unica cosa certa, in questo momento, è che la Giunta si è comportata in maniera scriteriata, nell'un caso perché ha fatto "ammuina" su un'ipotesi di risparmio vincolata al numero delle aziende che non era tale, nell'altro caso, perché se era tale e reale il risparmio, non ha avuto il coraggio di farlo né per i due anni passati né, sembra, per i due anni venturi.
Io non pretendo di dire "ho in tasca la ricetta per abbattere di 200 milioni di euro i costi della sanità", anche se alcune proposte concrete le abbiamo fatte, in questi anni. Posso dire con certezza che questo vostro spettacolo gattopardesco di ipotizzare il cambiamento di tutto con la convinzione che poi nulla sarebbe cambiato, certamente non è una soluzione. Lo dico richiamando l'attenzione su alcuni aspetti della pdl.
Alcuni colleghi ieri, hanno detto "poiché la spesa sanitaria è per circa il 50% collegata al costo delle retribuzioni del personale, che è un costo anelastico — posso fare 100 aziende, una sola azienda o mezza, 20.000 stipendi tutti i mesi poi li pago — l'unico fronte di economia lo potrei aprire sugli apicali. Se io ho 13 direttori o un direttore pago uno stipendio o 13 ed economizzo su 13 stipendi. Poiché parliamo di stipendi di mezzo miliardo di vecchie lire, qualche milione di euro scappava fuori". Non è vero. Faccio presente a me stesso e ai colleghi, che basta leggere l'art. 4, comma 7 della vostra pdl per accorgersi che anche nell'ipotesi della restrizione ad unica azienda, le aziende si riducono ma gli stipendi si moltiplicano, perché compare comunque la figura del direttore di zona che ha la personalità giuridica, che non ce l'ha, che è una super zona, che chiamate come volete, ma ciò che avete tenuto a precisare è che avete garantito che questo direttore, sia di zona o non di zona, abbia personalità giuridica o non l'abbia, comunque si prende quanto previsto come massimo dall'art. 3 bis del "D. Lgs Dini". Il direttore dell'Asur, siccome sarebbe un super direttore, si prende oltre il doppio. Quindi quella che si è mendacemente rappresentata come una economia almeno degli stipendi apicali, diventa un meccanismo per aumentare il numero degli stipendi apicali e, in almeno uno, sfondare anche i massimi di legge. Se questo è il concetto di economia, c'è chi ha detto che la matematica è un'opinione e questa sicuramente è un'opinione non matematica, è un'opinione politica deplorevole. Credo che la gente, su questo un'idea se la sia formata.
L'altro aspetto che mi permetto di richiamare all'attenzione del Consiglio, un po' distratto, è che non pretendo di avere ragione, però vorrei capire, nei limiti in cui la mia poca intelligenza e preparazione me lo consente, la logica: anche dietro il ragionamento dell'avversari