Resoconto seduta n. 211 del 10/12/2004
La seduta inizia alle 11,10



Giornata della pace e dei diritti umani

Piero CELANI, Sindaco di Ascoli Piceno. Spetta a me aprire i lavori di questa seduta del Consiglio regionale aperto. Lo faccio soltanto per dovere di ospitalità, quale “padrone di casa”, poi cederò la presidente al dott. Luigi Minardi.
Do il benvenuto a tutti i consiglieri regionali, all’intero Consiglio regionale, in particolare saluto il presidente dott. Minardi, tutte le autorità presenti in sala, tutti i cittadini che hanno raccolto l’invito a partecipare a questo Consiglio regionale aperto, molto importante e significativo per il tema che andremo a trattare e per l’atto finale che andremo a firmare. Saluto anche tutti i consiglieri comunali e gli assessori del Comune di Ascoli Piceno, i sindaci della provincia che hanno raccolto l’invito, il presidente della Provincia di Ascoli Piceno Massimo Rossi.
Il Consiglio regionale si articolerà in due momenti distinti. Questa mattina saranno presentati i progetti di solidarietà internazionale, dopo i saluti dei consiglieri regionali che sono presenti in sala, quindi, dopo l’illustrazione dei due progetti di solidarietà internazionale, sarà presentato lo statuto dell’Associazione Università per la pace, la cui sede è stata individuata, con un’apposita legge regionale, nella città di Ascoli Piceno. La seconda parte sarà dedicata a un incontro con i giovani della nostra regione presso l’auditorium della Fondazione Cassa di risparmio per trattare il tema “I giovani e le istituzioni”. Sarà un incontro molto intenso quello del pomeriggio, perché ci si confronterà con alcune esperienze, con alcuni progetti che i giovani hanno fatto, nel campo soprattutto della legalità e delle istituzioni.
Voglio brevemente fare qualche riflessione su questa giornata, sul tema che andiamo a trattare, però prima voglio leggervi un telegramma inviato dal nostro prefetto Giuseppe Destro, indirizzato al dott. Luigi Minardi, presidente del Consiglio regionale Marche: “Grato cortese invito al Consiglio regionale organizzato per il 10 dicembre prossimo, formulo fervidi auspici per la migliore riuscita dei lavori. Spiacente non poter intervenire per concomitanti impegni. Cordiali saluti”.
Scelta migliore il Consiglio regionale non poteva fare per individuare Ascoli Piceno quale sede dell’Associazione Università per la pace. Questo perché Ascoli Piceno potrebbe essere definita città della pace ante litteram, perché fin dal Medioevo la città di Ascoli Piceno custodisce presso la chiesa di Sant’Agostino, che è a pochi passi da questo meraviglioso palazzo, un dipinto intitolato alla Madonna della Pace. E’ una tela su tempera di dimensioni 130x160, dipinto da un marchigiano, Francescuccio da Fabriano, che rappresenta appunto la Madonna della Pace a cui gli ascolani sono stati sempre devoti, che hanno sempre ammirato, tant’è che uno storico ascolano, Antonio Marcucci, già nel 1766 descrive i prodigi che questo dipinto faceva nel momento in cui gli ascolani si rivolgevano alla Madonna della Pace, rappresentata dalla Madonna con un bambino in braccio nel momento dell’allattamento, nei periodi più difficili della vita cittadina, ma soprattutto nei momenti in cui c’erano vere e proprie guerre cittadine tra le opposte fazioni.
Voglio leggervi un passo di quello che scrive il Marcucci nel 1766 a proposito di quanta venerazione ci fosse e di quanto prodigioso fosse questo dipinto. Marcucci scrive: «A motivo che in tempo di guerre civili, con l’improvviso suono miracoloso della sua campana — la campana della chiesa di Sant’Agostino dov’era custodito questo dipinto — fatto di notte, nell’atto che la sanguinaria fazione della “della montagna” stava per dare addosso all’altra “della marina” fu disposta la pace fra discordi cittadini». Sta a significare che già nel Medioevo c’era un riferimento importante all’interno della città di Ascoli. Nei momenti più burrascosi gli ascolani si rifugiavano dentro questa chiesa, suonavano la campana della Madonna della Pace per far sì che tutto cessasse.
Questa devozione continua tutt’oggi, tanto è vero che in occasione della Quintana del secondo sabato di luglio, tutti i quintanari, tutto il corteo si porta sul sagrato della chiesa di Sant’Agostino, proprio per portare in dono simbolicamente una campana al sacerdote che in questo momento ha in cura la chiesa di Sant’Agostino, mons. Sergiacomi, quasi a ricordare quei momenti, con l’augurio e con l’auspicio che quella campana non possa mai servire per far cessare le diatribe all’interno di questa città.
Ho voluto inserire questo momento di ricordo, questo momento storico, per dire che effettivamente è stata fatta una scelta molto oculata. Quindi oggi è una giornata importante, sia per quanto riguarda il giorno — il 10 dicembre è storicamente una data molto importante per quanto riguarda la storia dei diritti umani — che per l’atto finale che si andrà a fare successivamente.
Il problema della pace, come molto spesso era solito dire un grande presidente degli Stati Uniti, Kennedy, è sempre un problema di diritti umani, tutti quei diritti per i quali la politica, il politico sono chiamati ad impegnarsi proprio nel rispetto dei valori della pace e della non violenza.
Per ognuno di noi, per ogni amministratore, ma per tutti gli uomini, volere la pace non è, come diceva giustamente don Riboldi, soltanto affermare “voglio la pace, voglio vivere naturalmente in pace”, ma significa combattere l’indifferenza che è nei nostri cuori, nelle nostre azioni. Quindi voler la pace significa impegnarsi nella famiglia, nella strada, nei posti di lavoro a combattere ogni forma di violenza. Sta a noi trovare un meccanismo che serva a disinnescare le eventuali tensioni che potrebbero sfociare in conflitti, ripristinando sempre il principio della ragione e della non violenza.
Credo che questo della ragione si un aspetto molto importante. Dobbiamo anche imparare a far prevalere, spesso, l’aspetto della ragione rispetto a qualsiasi altro aspetto. Molto spesso anche la ragion di Stato deve fare un passo indietro nei confronti della ragione umana, della ragione dell’uomo.
In questo momento, effettivamente vi sono dei cattivi pensieri che ci animano, perché il mondo è pervaso da un’onda di violenza che si manifesta con sempre maggiore frequenza, quindi ci porta sempre nuove vittime del terrorismo. Davanti a queste stragi, a queste migliaia di feriti, di morti, di atti di violenza che risultano difficili da comprendere, credo che non si possa restare inermi, è una logica che non possiamo assolutamente accettare, occorre una razione ferma ed unitaria di tutta la società civile chiamata a mobilitarsi a difesa della democrazia, soprattutto contro il terrorismo.
Voglio chiudere ricordando alcune parole che uno scrittore spagnolo, Sepùlveda, ha scritto nei momenti successivi alla strage di Madrid: “Venite a vedere il sangue per le strade: erano donne, uomini, bambini, anziani: la semplice pura umanità che cominciava un altro giorno, un giorno di lavoro, di sogni, di speranze, senza sapere che al volontà assassina di qualche miserabile aveva deciso che fosse l’ultimo. Venite a vedere gli appunti, i libri, le cose sparse fra i resti del massacro, venite a vedere un giorno morto e il dolore di una società che ha gridato mille volte il suo diritto di vivere in pace”. Questo mi sembra l’aspetto che dobbiamo significare maggiormente: venite a vedere un giorno morto. Ogni giorno di terrorismo è un giorno morto, un giorno che la società civile perde, un giorno che l’uomo perde naturalmente nella sua vita. Noi vorremmo che ciò non si ripetesse mai.
Concludo con un ringraziamento e un saluto al consigliere amico Umberto Trenta, che tenacemente sta portando avanti questo progetto insieme a tutto il Consiglio regionale e mi auguro che da oggi parta anche un’attenzione particolare da parte del Consiglio regionale verso la nostra città, affinché, dopo avere firmato lo statuto di questa Associazione Università per la pace ad Ascoli, vi si dia concretezza nel modo migliore, dotando questa legge anche di adeguate risorse. So che il Consiglio regionale già in Commissione ha predisposto alcune poste di bilancio per far sì che il progetto si possa concretizzare. Ci crediamo, quindi anche il Consiglio comunale di Ascoli Piceno ha già in bilanci delle somme per potersi attivare immediatamente affinché la cosa si possa concretizzare. Chiudo con un invito al Consiglio regionale perché si concretizzi tutto e perché si dia piena attuazione a questo statuto, affinché Ascoli Piceno diventi il centro propulsore di queste attività. Sappiamo che sono previsti, in futuro, dei corsi di formazione nella nostra città che dovrebbero tenere illustri personaggi, addirittura dei Premi Nobel. E’ chiaro che per fare bella figura, per far sì che questi illustri personaggi possano arrivare nel modo migliore e stare nel modo migliore ad Ascoli Piceno occorre naturalmente investire anche in strutture, in infrastrutture sulla nostra regione e sulla nostra città in particolare per far sì che questo possa concretizzarsi nel migliore dei modi.
Concludo qui, vi ringrazio ancora per la vostra partecipazione, gli appuntamenti li abbiamo ricordati. nell’intervallo tra la prima parte della mattinata e la seconda parte, chiunque voglia visitare la Pinacoteca civica lo potrà fare. La Pinacoteca rimarrà aperta, quindi vi invito a visitare le opere d’arte che sono contenute nella nostra splendida Pinacoteca civica.
Ha la parola, per un saluto, il presidente della Provincia di Ascoli Piceno Rossi.

Massimo ROSSI, Presidente della Provincia di Ascoli Piceno. Sottolineo la mia partecipazione di partecipare a questa iniziativa, per il fatto che si svolga qui e per il fatto che enti locali, Regione siano qui a parlare non solo di strade, di infrastrutture, di fabbriche, di agricoltura, cosa importantissima che dobbiamo fare e che facciamo quotidianamente, ma a parlare di pace e di diritti umani. Penso che le cose siano strettamente legate, perché se ripenso a una giornata come quella di ieri in cui ho corso da Roma a Montegranaro per parlare di risorse, di agricoltura, di parco marino e di tante cose e penso un attimo a quello che sta succedendo nel mondo ritengo che non possiamo essere indifferenti. Noi dobbiamo sempre cercare di capire che le azioni che facciamo quotidianamente sono condizionate e condizionano gli scenari globali, in questa stretta interrelazione tra i diritti di tutti e gli scenari di pace. E’ allora giusto che oggi 10 dicembre, siamo qui a parlare di questo. Guarda caso il 10 dicembre, perché quando si parla di pace non si può non collegare immediatamente la situazione dei diritti umani nel mondo. Il 10 dicembre 1948 veniva sottoscritta la Dichiarazione universale dei diritti umani. Con questa Dichiarazione si affermavano una serie di diritti che un essere umano, solo per il fatto di venire al mondo, deve in qualche modo godere. Non c’è un diritto alla pace scritto. Poi, alla fine c’è un articolo dove si dice che comunque l’insieme di tutti questi diritti è il diritto alla pace. Solo con l’affermazione di tutti questi diritti si realizzerà la pace.
Penso che su questo dobbiamo riflettere, perché la guerra — anche questo è un motivo per cui dobbiamo occuparcene — non è più come la vivevamo qualche decennio or sono, qualcosa lontana da noi. Noi che pensavamo, mettendoci alle spalle il secolo scorso, di aver chiuso la partita con la guerra. Pensate, il ‘900 è stato un secolo che ci porta alla mente degli orrori, però penso che dobbiamo rivalutare il ‘900 sotto questo aspetto. Pensate alla Carta dei diritti umani, alla Carta delle Nazioni Unite, alle nostre costituzioni che ripudiano la guerra, non usano altri termini più leggeri. E’ quindi un secolo nel quale abbiamo scritto parole con il sangue delle persone che hanno combattuto per un sistema migliore. Penso a coloro che nel nostro paese hanno dato la vita nella Resistenza per creare un mondo più giusto, in cui si superassero gli orrori della guerra e la sopraffazione di uomini su altri uomini.
Oggi ci troviamo invece a fare i conti con una situazione che vede la guerra con scenari completamente diversi. La guerra è quella che leggeva Piero Celani poco fa, quando parlava dei morti della stazione di Madrid: come è possibile che i milioni di persone che muoiono ogni anno, che sono private di ogni diritto, in qualche modo non hanno nulla a che fare, o comunque non danno alimento a grandi scenari di tensione, a fanatismi religiosi, alimentano e giustificano a volte, assurdamente, certi scenari di guerra che non sono uno strano campionano di calcio che si gioca come si giocava prima solo fuori casa, lontano da noi, ma che oggi ci ritroviamo in casa, in queste situazioni?
Penso che dobbiamo tutti riflettere sui diritti umani, a partire da noi. Quindi bene questa iniziativa dell’Università per la pace, perché bisogna assolutamente lavorare, come tra l’altro ci ha ricordato quest’anno il Santo Padre proprio il primo gennaio, dedicando quest’anno all’educazione e alla pace.
Questa Università per la pace, questa associazione che andiamo a costruire sarà sicuramente uno strumento per far capire quanto la pace è collegata con i diritti. Noi abbiamo iniziato questo incontro alle 11, concluderemo questa prima parte verso le 13,30: leggendo i rapporti di questi giorni dell’Unicef e della Fao sappiamo già che alla fine di questa riunione ci saranno già 1.500 bambini morti per mancanza di cibo, per cattiva nutrizione. Tutti i giornali ci hanno sparato in faccia questo dato: ogni 6 secondi muore un bambino che non abbiamo saputo salvare. A me vengono in mente i dati letti in un libro dei Missionari Comboniani, laddove c’è scritto che con 7 miliardi di dollari, l’equivalente di quello che si spende in uno stato come gli Stati Uniti in cosmetici, si potrebbe dare l’istruzione di base a tutti i bambini che non ce l’hanno, così come con 10 miliardi di dollari l’anno, quanto si spende in gelati nel nostro continente europeo, si potrebbero dare acqua e infrastrutture igieniche per tutte le persone che non le hanno. Così come — lo leggo da questo volume dei Comboniani non smentito, che deriva tra l’altro da uno studio del Social Watch, questa agenzia di economisti a livello internazionale — si legge che con 13 miliardi di dollari all’anno, quanto si spende in profumi in Europa e negli Stati Uniti, si potrebbe dare assistenza sanitaria alle donne gravide e partorienti.
Questo per dire che queste morti pesano sulla nostra coscienza, che ci sono i mezzi per riuscire a rimuovere questa barbarie, questa guerra economica e allo stesso tempo per disinnescare una bomba che abbiamo sotto di noi, questa barca che rischia di affondare, trascinando chi è sul ponte e chi è nella stiva.
Leggo altri dati. Si dice che basterebbe ridurre del 10% le spese militari dei paesi ricchi che invece sono aumentate del 18% nell’ultimo biennio per dare risposta a questi problemi. Basti dire che l’anno scorso si sono spesi 956 miliardi di dollari per armi, mentre 58 miliardi di dollari sono stati spesi per aiuti ai paesi poveri. Nel nostro paese, nel 1990 si spendevano 50 dollari pro-capite per cooperazione internazionale ed aiuti allo sviluppo, oggi si spendono 37 dollari pro-capite, a distanza di 14 anni, quindi siamo andati indietro. Come si fa a parlare di pace e diritti umani, se poi non facciamo ognuno la nostra parte, come cittadini, nello spingere la politica ad andare in quella direzione?
Ritengo allora che questo Consiglio sia stato bene impostato, perché per parlare di pace, oggi si presentano i progetti. Qualcuno pensa che di fronte a tutto questo la risposta sia fare guerre preventive per cercare di evitare scenari futuri che possano coinvolgerci. Io penso che le azioni contenute in questo libretto sono azioni di pace preventiva, e questa è l strada: fare azioni di pace preventiva invece che azioni di guerra preventiva.
Visto che ho parlato e basta parlare soltanto, bisogna riflettere e fermarci: chiedo, per questi 1.500 bambini che al termine di questa seduta non ci saranno più per le nostre inadempienze, di osservare, al termine di questa seduta, un minuto di silenzio, concentrandoci sui loro volti, immaginandoli e pensando che al loro posto potrebbero esserci i nostri figli.

Luigi MINARDI, Presidente del Consiglio regionale delle Marche. Grazie, Sindaco, per l’ospitalità con la quale hai accolto il Consiglio regionale in questo splendida sala. Grazie a te, a Massimo Rossi per l’impegno con il quale avete affrontato questa giornata organizzata insieme al Consiglio regionale nella città di Ascoli Piceno, una giornata intera che non si conclude questa mattina ma che continua oggi pomeriggio all’auditorium, altrettanto importante di quella di questa mattina.
Siamo ad Ascoli perché, come Consiglio regionale abbiamo intenzione di decentrare il più possibile le nostre iniziative e stiamo sperimentando le modalità di trasferire il Consiglio regionale nel territorio, evitando che l’unico luogo della sua convocazione fosse il centro della nostra regione, Ancona. E’ un modo per avvicinare le istituzioni a tutte le realtà del territorio, far sentire tutti i cittadini marchigiani a casa propria e avvicinare, con quel poco che è possibile, anche simbolicamente, il Consiglio regionale, la Regione come istituzione ai cittadini marchigiani laddove essi vivono. Lo facciamo oggi e lo facciamo ad Ascoli, perché oggi noi vogliamo ricordare, visto che è il 10 dicembre, la “Giornata della pace” nel giorno in cui è stata firmata, nel 1948, la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu. E lo facciamo ad Ascoli, perché su Ascoli esiste un progetto del Consiglio regionale, della Regione tutta, che riguarda l’Università per la pace, quindi anche un modo tangibile di venire in questa città a ragionare di un progetto concreto.
Noi vorremmo fare del 10 dicembre una sorta di appuntamento fisso. Non è, quella di oggi, la prima riunione del Consiglio regionale su questi temi, è la terza riunione in questa legislatura. Abbiamo iniziato dopo l’approvazione della legge regionale e vorremmo fare di questo appuntamento fisso una sorta di rito che si rinnova ogni anno, un momento di riflessione e di confronto sempre più coinvolgente per la società marchigiana.
Siamo quindi in mezzo a questo percorso, sappiamo che ancora non è un fatto concreto, ma vorremmo che sempre più ogni anno rappresentanti dei marchigiani nelle istituzioni siano con noi e sempre più marchigiani guardino la nostra azione come un’azione importante in questa importante data.
La nostra regione è una regione ricca. Lo è da un punto di vista economico, lo è anche da un punto di vista di virtù civica, lo è anche da un punto di vista di passione non soltanto per tutto quello che accade all’interno delle mura delle città, ma sono tante, ormai, le associazioni e le istituzioni attive anche nel campo della cooperazione allo sviluppo.
La giornata di oggi noi la vorremmo ricordare, ovviamente, per questo evento, in Ascoli, non per le parole che in questo evento saranno pronunciate, ma in particolare per i progetti dei quali noi vogliamo parlare. Vogliamo che a parlare di pace siano alcuni protagonisti marchigiani e che lo facciano attraverso le azioni che stanno realizzando, che sono quattro.
La prima è “Dalle Marche un progetto di pace”, la seconda è “Una scuola dei mestieri per l’Africa”, la terza è “Una speranza per il futuro” e la quarta, ultima non per importanza ma quasi per ospitalità, è “L’Università per la pace” che abbiamo intenzione di radicare in questa città.
Lo scorso anno il Consiglio regionale, con il concorso di quattro Consigli provinciali — anche questo è un tema costante nella nostra azione, cercare di coinvolgere il più possibile tutti gli attori istituzionali della nostra regione, quindi la partecipazione dei “quattro Consigli provinciali è stata per noi un segno di attenzione importante che il territorio ha dato alle nostre iniziative — ha deciso di appoggiare 26 progetti avanzati dai missionari marchigiani. Lo abbiamo fatto come una scelta: 26 progetti, con le poche risorse di cui disponevamo, poteva per qualcuno apparire come una dispersione delle nostre risorse in una quantità di progetti anche eccessiva. Invece noi abbiamo scelto questa strada per significare l’attenzione non tanto ai progetti quanto ai missionari marchigiani, a quelle persone che quotidianamente vivono il loro progetto di speranza, di pace, concretamente, e dare un segnale di attenzione. Si è aperta con il Consiglio regionale una ricca comunicazione, perché quelle poche risorse di cui disponevamo, comunque hanno attivato un’attenzione e un desiderio di esserci, di avere un contributo in più per realizzare qualche opera nel campo delle loro missioni, che ci ha messo nella condizione di soddisfare, appunto, 26 piccoli progetti. Lo abbiamo fatto in collaborazione con la Conferenza Episcopale Marchigiana, che ha attivato la Comunità di Capodarco, che questa mattina è presente con noi con don Vinicio Albanesi.
Oggi abbiamo alcune testimonianze di questa esperienza: c’è padre Walter Borghesi, missionario comboniano, che ci parlerà, appunto di queste esperienze. Se pensiamo che 30.000 bambini muoiono ogni giorni per malattie facilmente prevenibili, derivanti quasi esclusivamente da malnutrizione e da pessime condizioni igieniche nelle quali vivono, se pensiamo che tre miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno, potremmo anche pensare che tutto quello che stiamo facendo è poca cosa e che può anche essere perfino inutile quello che stiamo facendo. Ebbene, è proprio questo che noi vogliamo evitare: evitare un sentimento di impotenza. Di fronte alla dimensione del problema è facile farsi prendere da un sentimento di impotenza, perché nessuna nostra azione pensata e progettata può avere l’ambizione di risolvere un problema di queste dimensioni. Noi non vogliamo neanche sentirci rassicurati per la nostra azione compassionevole. Vogliamo anche scrollarci un po’ di dosso, eventualmente, il velleitarismo che può portarsi dietro chi pensa che il problema debba essere aggredito alla radice: spesso la ricerca di una soluzione radicale porta alla rassegnazione. Noi vogliamo evitare tutto questo.
E allora qual è l’obiettivo della nostra azione? La nostra azione è guardare in faccia il problema, la nostra azione è far sì che si prenda atto del problema e parlare di questo problema con la più ampia comunità marchigiana. Vogliamo che i marchigiani sappiano che tante persone che vivono nelle istituzioni, nelle associazioni, tanti marchigiani che hanno una abitudine di vita, una cultura ad assumere atteggiamenti spesso schivi, discreti, eppure anche in questo settore tanti marchigiani sono presenti con la loro azione quotidiana, e se la conoscenza di questi casi concreti positivi possa produrre voglia di emulazione, voglia di esserci, voglia di fare di più e meglio, noi crediamo di avere raggiunto un obiettivo: quello di far sì che queste azioni che i marchigiani stano compiendo, possano diventare sempre più numerose e il fiume possa ingrandirsi con l’azione di tanti che si aggiungono a coloro che stanno già agendo. Quindi la nostra è un’azione educativa se vogliamo; vogliamo che se ne parli, perché è già importante parlarne. Vogliamo parlarne nelle istituzioni ma non solo.
Questa sera, per esempio, abbiamo un impegno altrettanto importante all’auditorium. E’ questa una novità, perché finora le manifestazioni precedenti sono avvenute essenzialmente nella sede istituzionale, invece questa sera, all’auditorium, vogliamo dedicare l’attenzione al problema de “I giovani e le istituzioni”. E’ un problema altrettanto importante che ha un’attinenza con la pace, non è senz’altro staccato dal problema della pace. Non tratteremo temi generici, ma affronteremo esperienze che stanno aiutando i giovani a non rimanere soli, chiusi in se stessi. Esperienze che aiutano giovani marchigiani a sentirsi parte di una umanità impegnata a costruire una società più giusta e un mondo migliore, credo che sia un’opera positiva che il Consiglio regionale sta portando avanti con il contributo di tanti consiglieri, con il contributo delle istituzioni locali — nel caso specifico la città di Ascoli Piceno e la Provincia di Ascoli Piceno — e riteniamo che anche questo possa essere un seme che nei prossimi anni possa germogliare. Avvicinare i giovani alle istituzioni, colmare questo abisso che si è creato nell’ultimo ventennio, far sì che i giovani sentono le istituzioni come casa propria è un vero e proprio contributo alla cultura della pace che ci sentiamo di dare e che ci sentiamo, in una giornata come questa, di sottolineare come una volontà che mi auguro in modo duraturo il Consiglio regionale e le istituzioni marchigiane vorranno dare anche nei prossimi anni.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Minardi. Passiamo adesso alla fase operativa, alla presentazione dei progetti, quindi passiamo dalle parole ai fatti e vediamo concretamente quello che è stato fatto quello che si sta facendo nella nostra regione per questo importante valore.
Invito don Vinicio Albanesi a presentare il progetto “Dalle Marche un gesto di pace”.

Don Vinicio ALBANESI, Comunità di Capodarco. Quando mons. Comastri mi chiamò per realizzare questo progetto, c’era già l’istruttoria di 26 progetti provenienti da tutto il mondo di missionari e missionarie italiane. Abbiamo fatto una riunione con il Consiglio missionario delle Marche rappresentato da tutte le diocesi e abbiamo scelto per questo primo passaggio, una presenza piccola ma significativa di 1.500 euro che sono stati versati a ciascuno dei missionari. Ne mancano ancora alcuni perché, con l’esperienza che abbiamo, da marchigiani, non ci fidiamo delle transazioni internazionali, avendo fatto esperienza che poi i soldi si perdono, quindi occorre un collegamento molto diretto e molto sicuro.
I missionari sono rimasti meravigliati positivamente che qualcuno, tra le istituzioni, si sia ricordato di loro e lo hanno fatto con un cuore largo, largo perché probabilmente non si aspettavano che dalla propria regione partisse questa idea. E’ un’idea a mio parere da confermare, è un’idea bella, perché leggendo i progetti c’è quello che i presidenti questa mattina hanno detto: povertà, istruzione, sanità, assistenza, quelle cose che i missionari fanno nel mondo, e le fanno con la radice di questa nostra terra che amiamo e alla quale siamo molto affezionati.
Quindi ringrazio e riporto i ringraziamenti che questi missionari hanno fatto. Probabilmente per i prossimi anni si potrebbero selezionare alcuni di questi progetti, in modo da entrare più dettagliatamente nella loro fattibilità. Le risorse sono poche, i dollari — in genere cercano dollari, perché nel mondo si usa il dollaro — richiesti sono molti, però questa presenza credo che sia estremamente utile, significativa e soprattutto fattiva.

PRESIDENTE. Ascoltiamo adesso la testimonianza di padre Walter Borghesi, missionario comboniano, che parlerà del “Progetto Brasile”

Padre Walter BORGHESI, Missionario comboniano. Saluto il Sindaco, il presidente della Provincia, il presidente del Consiglio regionale delle Marche, i consiglieri e tutti noi qui riuniti.
Vorrei essere molto chiaro e nello stesso tempo molto semplice. Il mio nome è padre Walter Borghesi, io mi sento in casa, sono marchigiano, nativo di Corinaldo. Faccio parte di questo aiuto che la Regione Marche ha stanziato. Noi siamo quattro comboniani sparsi per il mondo e questi progetti sono indirizzati soprattutto all’educazione dei bambini. Per quanto mi riguarda ai “bambini di strada” in Brasile. Fin dagli anni ‘70 sono in B rasile, prima come laico, poi come sacerdote comboniano. Poi, in Africa, i “bambini soldato”, soprattutto in Uganda. I bambini nomadi in Kenya, per avere un’istruzione. Poi i bambini i cui genitori sono morti per Aids. Sono progetti importanti per dare spazio e futuro.
Vorrei però sottolineare un aspetto. Noi, come missionari — io sono qui come rappresentante di tutti i missionari delle Marche — non ci sentiamo eroi, però sottolineiamo un aspetto: noi annunciamo Cristo, il Vangelo. Senza quello la nostra azione sarebbe non dico inutile, ma non avrebbe quell’incidenza, come missionari. Noi sottolineiamo anche l’aspetto del prendere l’uomo nella sua integrità. Non è solo dire due parole del Vangelo e poi lasciare che loro vadano avanti: “quando uno ha fame bisogna dargli da mangiare”, dice Giacomo nella sua lettera. Oggi come oggi noi missionari stiamo dando un po’ fastidio anche alle istituzioni, a livello anche generale, quando denunciamo cose, per cui alcuni ci dicono “parlate del Vangelo e basta”. non si può parlare del Vangelo quando c’è guerra, quando sappiamo che noi vendiamo armi, quando sappiamo che muoiono, a causa delle nostre armi. Noi dobbiamo sensibilizzare, anche rendendoci a volte antipatici, perché prima di tutto è l’uomo, è la persona umana che è degna di vivere a esempio di Cristo, qualsiasi ella è, in qualsiasi regione del mondo è nata. Quindi noi sottolineiamo questo aspetto: dare all’uomo la dignità.
Poi vorrei anche sottolineare questi aiuti che ci vengono dati di cui ringrazio. Credo che è un inizio, andremo avanti.
Noi cerchiamo di collaborare con il volontariato locale, perché tutti collaborano, sia l’aiuto esterno sia coloro che ricevono questo aiuto, con il loro lavoro, con la loro collaborazione concreta, con il loro volontariato. Allora sì che se costruiamo un piccolo ospedale, un piccolo dispensario, una scuola, ha senso, perché la sentono loro. Noi, come missionari sentiamo ancora nelle orecchie quello che alcuni politici, giornalisti dicevano: “il missionario fa una struttura, mette su qualcosa di concreto Ada punto di vista sociale, con il 10% di quello che lo Stato italiano può fare nel sud del mondo”. Perché noi siamo là, viviamo là, cerchiamo la collaborazione locale. Noi non andiamo negli hotel a cinque stelle, quei soldi che ci arrivano cerchiamo di sfruttarli al massimo, perché non è per noi, è per coloro cui l’intenzione è stata collocata, per i più poveri.
In questo senso noi vorremo dire che non abbiamo paura, perché ancora oggi nel mondo ci sono realtà belle, anche al sud del mondo.
Abbiamo ascoltato il relatorio dell’Unicef, ieri. Tutti ne hanno parlato, tutti i giornali, i mezzi di comunicazione. Oggi non so se troverete qualcosa di questa notizia sui giornali o sui mezzi di comunicazione. La mia paura, la nostra paura è che dopo questa pubblicazione venga tutto dimenticato. No, noi dobbiamo portare avanti il discorso nella nostra vita di ogni giorno e nella nostra disponibilità, come responsabili sociali, politici, responsabili di scuole, cioè dobbiamo essere gli animatori, i trasformatori della società. Per questo ringrazio di essere qua, a nome dei missionari, proprio perché dobbiamo trasformare le nostre coscienze e le coscienze degli altri. Grazie di questa sensibilità che avete avuto, continuate ad averla, perché in fondo noi siamo un po’ l’iceberg di questa coscienza, non perché siamo più buoni o più bravi, ma perché abbiamo questo entusiasmo dentro. Attualmente io mi trovo a Pesaro, sono cinque anni che mi hanno bloccato in Italia, ma se tutto va bene il prossimo anno partirò per la Rondonia, in Amazzonia brasiliana. La sensibilità, l’allegria di vivere contagia. Vorrei che anche tra di noi ci fosse questo contagio, ci fosse questo entusiasmo.
Lasciatemi terminare con le parole di madre Teresa, che forse non tutti hanno letto: “Mio Signore, possano le nazioni essere toccate dal tuo cuore, affinché lavorino per l’unità e l’amore, con strumenti per diffondere la pace su questa terra. Concedi ai potenti un cuore pulito, colmo di amore l’uno per l’altro. Fa che ascoltino la tua parola d’amore, in modo da realizzare la tua pace attraverso il loro lavoro e le loro esistenze”.
Non c’è più bisogno di altre parole, grazie per l’attenzione.

PRESIDENTE. Grazie a padre Borghesi per la testimonianza che ci ha rappresentato.
Invito il dott. Marco Bellardi, dirigente del servizio politiche comunitarie e cooperazione allo sviluppo e Claudio Latini della Confartigianato Ancona, ad illustrare il progetto “Una scuola dei mestieri per l’Africa.

Marco BELLARDI, Dirigente servizio politiche comunitarie e cooperazione allo sviluppo. Prima di parlare di questo intervento realizzato sul territorio etiope, credo che vada sottolineata l’utilità dell’incontro oggi promosso dal Consiglio regionale, proprio per aumentare la sensibilità della comunità marchigiana su queste attività e su questi problemi, proprio perché i marchigiani stanno compiendo in tutto il mondo numerosissimi interventi di solidarietà. La realtà marchigiana è costellata da questi interventi di solidarietà, che però hanno un grossissimo handicap: si conoscono difficilmente fuori delle comunità che li promuovono e soprattutto ognuno opera a se stante, non c’è una rete di interconnessione fra questi interventi. E allora tutte queste gocce di solidarietà che la comunità marchigiana versa in tutto il mondo, restano poca cosa rispetto agli impatti complessivi che si potrebbero raggiungere se questi interventi potessero essere collegati. Io ritengo che proprio da una riunione come quella oggi promossa dal Consiglio regionale possa derivare una forte spinta a far sì che questi collegamenti si realizzino effettivamente. In questa direzione si è mossa anche la legge regionale 24 approvata nel dicembre 2003, che organizza le attività di cooperazione allo sviluppo da parte della Regione Marche.
Prima di entrare nel merito di questa legge, ritengo utile fare un piccolo quadro, proprio perché su questi problemi, probabilmente, le discussioni non sono mai state approfondite, nel senso che la competenza delle Regioni ad intervenire in questa materia è di alcuni anni, quindi fa riferimento alla legge 49 del 1987, ma è stata sempre diffusamente disattesa, proprio perché, dicendo questa legge 47 che la cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dello Stato, questa dizione legislativa ha fatto sì che tutti gli interventi di cooperazione promossi dalle Regioni incontrassero sempre un grandissimo ostracismo a livello centrale.
Questa situazione è fortunatamente cambiata all’inizio degli anni ‘90 ed ha avuto un forte spunto di svolta con la crisi nell’area balcanica e soprattutto nella ex Repubblica di Jugoslavia, quando lo Stato italiano chiese aiuto alla comunità nazionale, chiese aiuto alle Regioni per organizzare le numerosissime iniziative di solidarietà che si sono svolte su quel territorio.
La costituzione di un tavolo presso la presidenza del Consiglio, a cui partecipavano congiuntamente le organizzazioni di volontariato, le Ong e le Regioni, ha fatto sì che si prendesse contezza della capacità che le istituzioni locali e, insieme alle Regioni le Province e i Comuni più interessati a questo tipo di attività, potessero svolgere le attività che compiutamente queste istituzioni locali potevano realizzare con carattere di concretezza molto superiore a quelle dello Stato centrale.
E’ da quel momento che comincia un processo di riconoscimento delle istituzioni locali per quello che riguarda la cooperazione allo sviluppo, riconoscimento che veniva nei fatti, riconoscimento che però non era nelle forme. La legge regionale 24 che ho appena ricordato va a sostituire la legge 38 del 1990 e la nostra legge regionale ha avuto due anni di attesa presso la presidenza del Consigli, proprio perché si eccepivano alcuni contenuti di questa legge. La prima legge a cui la 24 fa riferimento è la 9 del 2001: ci sono voluti oltre 24 mesi di negoziati e di accordi con il Governo centrale per arrivare alla legge 38. Peraltro, quando è stata approvata la legge 38 era già stato modificato il titolo V della Costituzione, la quale prevede che le Regioni abbiano una competenza nei rapporti internazionali e nei rapporti con l’Unione europea. Ancora, la “legge La Loggia” 131 del 2003, che prevede espressamente e disciplina questa attività delle Regioni, è ancora precedente all’approvazione della legge regionale.
Quindi vedete che nonostante ci siano disposti legislativi a livello nazionale che consentono l’intervento delle Regioni e degli enti locali in questa materia, gli ostracismi e le difficoltà a livello centrale sono ancora numerosi.
Detto questo, per nostra fortuna — almeno questo è il mio pensiero — la Regione Marche è sin dal 1990, o meglio fin dalla fine degli anni ‘80 che si è mossa su questo terreno, anche perché dal 1989 è responsabile a livello nazionale del coordinamento delle Regioni per la cooperazione allo sviluppo, quindi i vari presidenti delle Giunte regionali che si sono succeduti sono i soggetti, sono le persone che hanno sempre, di volta in volta negoziato, contrastato o concordato, o con la presidenza del Consiglio dei ministri o con il ministro degli esteri tutte le azioni di cooperazione, quindi noi siamo stati in un osservatorio per un certo verso privilegiato, pertanto siamo riusciti sempre a realizzare una serie importante di azioni di cooperazione. Questo ha fatto sì che oggi la Regione Marche è presente in oltre 12 paesi del mondo. Senza ricordarli tutti vi dico che le aree più importanti dove si stanno realizzando progetti di cooperazione sono l’area balcanica, ovviamente in conseguenza degli eventi bellici. Nell’area balcanica abbiamo interventi realizzati su convenzione con il Ministero degli esteri, abbiamo interventi finanziati con la legge 84, “Ricostruzione nell’area balcanica”, abbiamo interventi finanziati dalle Nazioni Unite o da Banca Mondiale. Così siamo presenti in Africa, Etiopia ed Eritrea, ma anche in Mali, Congo e Costa d’Avorio, siamo presenti nell’area sudamericana o nell’area caraibica (Cuba, Sudamerica, Brasile e Argentina), quindi, come vedete, le configurazioni sono molto ampie.
Quello che vorrei sottolineare e che è stata la chiave di volta del sistema della cooperazione regionale, è che con le modeste risorse messe a disposizione dalla legislazione regionale si potevano fare poche cose, quindi la via d’uscita da questa strettoia è stata quella di costruire un’architettura finanziaria, che facesse sì che non fosse solo la Regione Marche ad intervenire in questi territori, ma la Regione Marche “insieme a”. In molti di questi interventi noi siamo in congiunzione con altre Regioni d’Italia. Ricordo gli interventi in Bosnia che sono durati per quattro anni, anche attraverso la costituzione di un ufficio permanente a Mostar ed è stato fatto congiuntamente con le Regioni Emilia Romagna e Toscana e le Marche avevano il coordinamento degli interventi. Gli interventi che stiamo facendo ora in Albania sono co-finanziati dalle Nazioni Unite, quindi c’è una congiunzione Regione Marche-Nazioni Unite o NHCR. Gli interventi che stiamo facendo in Albania nell’area di Valona sono co-finanziati dall’Unione europea attraverso un programma che si chiama “Life paesi terzi”. Gli interventi che stiamo lanciando in Brasile sono finanziati dal Banco di sviluppo interamericano e Regione Marche, oltre a Regioni Emilia, Umbria e Toscana.
Questa è una regola del gioco che ci permette di moltiplicare le nostre scarse risorse — annualmente poco più di 500.000 euro — per cinque o per sei. Ma se questo è verso l’esterno, un comportamento assolutamente analogo la Regione sta cercando di rafforzare verso l’interno, cioè è interesse della Regione Marche operare insieme agli enti locali, proprio perché ormai questa sensibilità si è estesa a tutti i livelli di governo sub-regionale, quindi cerchiamo sempre di avere un coinvolgimento e una co-partecipazione, sia delle Amministrazioni comunali che delle Province. Proprio ad Ascoli Piceno abbiamo degli esempi molto importanti e vorrei ricordare la fruttuosa collaborazione che abbiamo avuto con il Comune di Grottammare, non tanto perché il Presidente Massimo Rossi è stato uno dei sindaci promotori di questa iniziativa, ma proprio perché è diventato un intervento esemplare nell’area balcanica: sviluppare una progettazione ed un recupero del centro storico della piccola città di Argirocastro in Albania è diventato un esempio di buone pratiche che lo stesso Ministero degli esteri sta perseguendo e sta proponendo ad altri soggetti della cooperazione, quindi da questo punto di vista siamo stati anche innovatori ed esploratori su questa strada della cooperazione.
Infine vorrei dire solo due parole sull’intervento in Etiopia, proprio perché vorrei lasciare all’amico Latini tutto lo spazio necessario per illustrarlo. L’intervento in Etiopia è stato per noi l’apertura di uno scenario assolutamente interessante per almeno tre motivi. Il primo, perché la stessa Confartigianato sta facendo un percorso simile a quello della stessa Regione Marche, che è quello di aggregare più soggetti per fare azioni di cooperazione. A Soddo, dove si è realizzata questa scuola dei mestieri, è la Confartigianato nazionale, su forte spinta della Confartigianato di Ancona, che ha collaborato alla realizzazione dell’intervento, ma accanto alla Confartigianato nazionale ci sono state tante altre Confartigianato provinciali, c’è stato il Comune di Ancona, c’è stata la Provincia di Ancona, quindi si è creato un concerto di istituzioni pubbliche e una serie di soggetti privati che hanno collaborato per portare a termine questo intervento.
Cosa simile la Regione sta svolgendo nello stesso periodo di tempo in Eritrea, con la realizzazione di una diga a Buia, il territorio dove si è creata una forte collaborazione e compartecipazione tra le Province marchigiane, la Camera di commercio di Ancona, il Comune di Ancona, la Banca delle Marche e una Ong delle Marche, che è Iscos Marche.
Queste sono state le nostre logiche di comportamento, queste sono logiche che noi vorremo vedere riproposte per far affermare un modello di cooperazione decentrata che parta dal basso e che vada verso quelle azioni di sviluppo locale, che sono quelle che ci devono contraddistinguere.
Tutto questo, peraltro, per contrastare una tendenza molto diffusa. Si parla moltissimo di cooperazione, si parla moltissimo di azioni monetarie, si parla moltissimo di pace, però se vado a vedere il bilancio dello Stato, vedo che ha avuto una riduzione, non più tardi di tre giorni fa, di 250 milioni di euro. C’è una dichiarazione, un impegno sottoscritto dall’Italia di portare allo 0,34% del pil le dotazioni per la cooperazione nell’anno 2006. Quest’anno, invece di aumentare, siamo scesi dallo 0,17 allo 0,14% del pil. Se questa è la realtà con cui noi ci dobbiamo confrontare, ben vengano tutte le azioni che a livello locale possano essere promosse e queste azioni siano il più possibile integrate.

PRESIDENTE. Grazie al dott. Bellardi che ha sottolineato questa nuova forma di cooperazione decentrata che parte dal basso..
Ha ora la parola Claudio Latini.

Claudio LATINI, CGIA. Vorrei presentarvi un filmato. Ho al seguito un CD che presenta la scuola e la realtà del sud dell’Etiopia. C’erano problemi di audio, ma è più eloquente di quello che direi io.

(Viene proiettato il filmato)

La scuola si prefigge di educare tecnicamente 200 ragazzi su quattro attività: l’autoriparazione, la lavorazione del ferro e dell’alluminio, la sartoria e la lavorazione del legno. I corsi già sono avviati, è uno degli aspetti positivi e una telefonata di ieri ha detto che il corso che seguono i ragazzi dell’autoriparazione occupa già 86 allievi, di cui 25 donne. E’ il più appetito, perché forse vedono qualche possibilità di “vendere” quello che apprendono anche in Italia o in Europa. Del resto, già qualche imprenditore locale adotta a distanza gli allievi per il futuro.
Un aspetto importante, sottolineato bene dal dott. Bellardi, è che è stata un’iniziativa dal basso. Anche se c’è l’ombrello e l’etichetta della Confartigianato nazionale, in realtà è stato un fenomeno che si è sviluppato sostanzialmente nelle Marche, con il contributo non solo ideale ma anche economico, non determinante ma significativo della Regione Marche, della Provincia, del Comune di Ancona, della Camera di commercio, di due istituti bancari e così via.
Una notazione credo sia doveroso fare. E’ stato abbastanza semplice realizzare la cosa, il cui valore è poco più di un miliardo in concreto, perché l’iniziativa è stata appoggiata alla rete dei Missionari Cappuccini marchigiani. Se fosse stata fatta al di fuori di quel contesto, credo che le difficoltà sarebbero diventate insormontabili, anche perché la realtà di Soddo è a 450 chilometri a sud di Addis Abeba, quasi ai confini con il Kenya.
La rete dei Cappuccini marchigiani è una delle poche cose che funziona in Etiopia, quindi non è soltanto un aspetto religioso o etico nel senso più ampio, è anche un problema di efficienza. D’altro canto vorrei sottolineare, perché ne sono testimone diretto — ho avuto la ventura, il privilegio di essere in Etiopia più di una volta — che gli stessi Cappuccini sono in Etiopia per l’evangelizzazione, ma prima dell’evangelizzazione, credo anche con più impegno, si preoccupano della promozione umana di quella gente che non ha assolutamente niente. Fuori della capitale Addis Abeba e fuori delle piccole oasi dei Cappuccini, è deserto, le famose capanne con le acacie nella savana, non c’è assolutamente nient’altro. D’altro canto l’Etiopia è a livelli di pura sussistenza.
Non c’è Enzo Ciccarelli, che di questo progetto ha rappresentato l’anima e il motore. E’ partito all’improvviso per Soddo, perché nello spirito auspicato dal presidente Minardi, domani la scuola di Soddo e la clinica pediatrica saranno in collegamento in videoconferenza con le Confartigianato provinciali dell’intera Lombardia. E’ un modo per coinvolgere, per sensibilizzare, per raccogliere fondi quando servono. D’altro canto, i soldi servono alla clinica e alla fondazione che ha sede in Ancona, mentre la scuola ha abbastanza fondi per andare avanti e i docenti, che sono tutti artigiani o ex artigiani, già sono prenotati da tutta Italia.
Un invito sento di fare, perché io ero una persona con una sensibilità molto superficiale, di sorvolo su questi problemi. Costituendo, per doveri d’ufficio, il retroterra a questa avventura in Etiopia sono andato una volta in Etiopia e vedendo con gli occhi miei mi sono reso conto di tutte le cose che hanno fatto presente il sindaco, il presidente della Provincia e il presidente del Consiglio regionale: cambia totalmente l’approccio delle persone, una volta che si calano in quelle realtà. Siccome accanto alla scuola sono stati realizzati quattro appartamentini per i docenti, che ogni tanto sono liberi, faccio un invito al presidente e ai consiglieri regionali: quando sono liberi facciano questo viaggio, che non è una gita ma un viaggio di sensibilità, ma culturalmente, umanamente prezioso. Andiamo a vedere, è un arricchimento personale che vale la pena di fare.
Mi unisco a tutti coloro che hanno apprezzato questa iniziativa, lo faccio davvero convinto, sono convinto a livello personale, anche per quello che dicevo, non solo della solidarietà ma della necessità di educarci reciprocamente e collettivamente alla solidarietà. Non basta più la pace, che diamo per scontato ed è il bene più prezioso, non basta più la tolleranza. Dobbiamo fare qualcosa per la dignità di tutti gli altri. Le parole che sono state dette, soprattutto dal presidente, rappresentano la base di questo discorso. Sicuramente le Marche, complessivamente, stanno dando un bell’esempio, prescindendo da queste esperienze, perché ne conosco diverse attorno a noi.
Non aggiungo altro, rinnovo l’apprezzamento, ringrazio dell’ospitalità e dell’attenzione.

PRESIDENTE. Ha ora la parola il presidente della Comunità montana del Montefeltro Michele Maiani, che presenta il progetto dedicato ad Etiopia-Zambia, “Una speranza per il futuro”.

Michele MAIANI, Presidente Comunità montana Montefeltro. Ho anch’io qualche diapositiva da proporre. Vorrei soltanto fare una premessa.
Il nostro progetto è nato quasi per caso, però con lo schema di cui ha parlato il dott. Bellardi, è l’incontro tra realtà che ci sono nella mia Comunità montana e le istituzioni. Infatti i due progetti, uno in Etiopia e uno in Zambia, sono nati su spinta e richiesta, da una parte dell’organizzazione dei Cappuccini di Soddo, perché anche noi siamo andati in Etiopia, nella stessa realtà dove opera la Confartigianato, e dall’altra parte di un’associazione.
Parliamo prima dello Zambia. C’è un’associazione nella mia Comunità montana, una Onlus, “Noi per lo Zambia”, il cui fondatore e presidente è il parco di Pieve di Carpegna, che da oltre vent’anni opera in una regione dello Zambia, nella zona delle ex miniere di rame abbandonata dopo la fine della dominazione inglese. Tra l’altro è una zona molto povera in cui c’è un problema grossissimo di malattie e di educazione. Questa associazione si è rivolta a noi per avere qualche aiuto. Per caso ci siamo accorti in una discussione tra amici, che per l’8 per mille destinato alla diretta gestione dello Stato c’è un ufficio a Roma che finanzia anche interventi sulla fame nel mondo, per cui abbiamo presentato, come Comunità montana, questo progetto, abbiamo fatto una domanda e l’anno scorso ci è stato finanziato. Siamo riusciti a portare aiuti alimentari in queste due realtà.
Questo è uno schema di qual è il costo giornaliero per una famiglia. Abbiamo aiutato 10.000 persone in alcune realtà, e sono tutti centri nutrizionali gestiti da questa Onlus. La cifra di 0,15 centesimi è quanto costa dare da mangiare a una persona in Zambia.
Il progetto è durato tre mesi, abbiamo dato tutte queste risorse che vedete sulla sinistra.
La cosa che mi interessa sottolineare, è che noi siamo partiti dall’idea che la prima cosa che volevamo fare era aiutare questa gente nell’istruzione. Poi ci hanno spiegato in maniera molto semplice, che se vogliamo dare un’istruzione a questa gente dobbiamo risolvere il problema della fame, perché i bambini non vanno a scuola in quanto non hanno il tempo per cercare il cibo, per cui se a scuola gli si dà il cibo, questi bambini ci vanno e sono contenti di andarci. Anche le famiglie sono contente di mandare i figli a scuola, perché sono sicuri che qualcosa mangiano. Se invece i bambini non hanno la possibilità di mangiare e la scuola non dà loro da mangiare, questi sono costretti a usare il tempo che hanno per trovarsi del cibo. In questa realtà, questa Onlus sta realizzando una scuola per bambini, che ormai dovrebbe arrivare a ospitare circa 1.000 bimbi, perché ormai le strutture pubbliche dello stato dello Zambia sono talmente disastrate, che solo il 15-20% della popolazione ha la possibilità di andare alle scuole pubbliche, il resto sono completamente abbandonati.
Vorrei sottolineare la funzione delle donne. praticamente l’economia dello Zambia è in mano alle donne, le quali hanno la responsabilità di provvedere alla cura della famiglia, ma anche di dare da mangiare ai figli. In questo momento stanno schiacciando dei pezzi di roccia per farci materiale inerte da costruzione. Questa struttura che opera in Zambia ha pensato che un membro delle famiglie che sono assistite, dovrebbe almeno una settimana al mese contribuire alla vita della comunità. Sono solo le donne che si presentano e che continuano a lavorare. Le donne quasi tutte, oltre a lavorare, hanno la cura dei figli.
L’altro progetto riguarda l’Etiopia. Siamo nella zona di Soddo. Noi abbiamo incontrato mons. Marinozzi perché ci è venuto a chiedere aiuti, sia per la sua clinica che avete visto prima, ma anche per un’altra clinica che voleva fare in un’altra sona. Mons. Marinozzi è un marchigiano di Corinaldo, ha 78 anni ma è ancora molto sveglio e intelligente. Ci ha chiamato in più di una occasione e ci ha coinvolto in questa richiesta. Qui abbiamo aiutato 12.000 persone, abbiamo utilizzato la struttura delle missioni presenti là e quello che vedete, 0,11 centesimi, è il costo pro-capite di una persona al giorno. Qui l’intervento è durato tre mesi.
Qui vedete la costruzione di un pozzo. In Etiopia il problema dell’acqua è molto serio, perché essendo su un altipiano, l’acqua si trova a profondità incredibili. Bisogna scavare intorno ai 110 metri per trovare acqua potabile, altrimenti tutti sono costretti ad andarla a prendere in zone molto lontane, fra l’altro anche malariche.
Fortunatamente nel cambio euro-moneta locale, rispetto ai soldi che avevamo alla fine siamo riusciti a risparmiare, per cui abbiamo costruito non uno ma due pozzi.
Questo è un villaggio di una regione che ha 140.000 abitanti, quella è l’unica strada, non c’è energia elettrica, non c’è acqua potabile, non ci sono discariche, fogne, non c’è assolutamente niente, quindi hanno bisogno estremo di molte cose. L’unica attività che permette il sostentamento delle famiglie è l’agricoltura per autosostentamento.
Noi abbiamo usato come rete distributiva le strutture già esistenti, soprattutto gli ospedali, le cliniche e le scuole, soprattutto su indicazione della rete dei missionari a Soddo.
Credo che il modello organizzativo che ha proposto il dott. Bellardi sia un modello organizzativo intelligente, efficace ed è quello che noi, in piccolo, abbiamo cercato di fare cioè mettere l’istituzione, in questo caso Comunità montana, al servizio delle strutture già esistenti, di chi opera sul territorio.
Le fonti di finanziamento le abbiamo trovate nell’8 per mille, il progetto l’abbiamo fatto noi, devo dire che siamo stati anche un po’ fortunati, perché il primo progetto che abbiamo fatto ci è stato subito finanziato e abbiamo fatto un buon lavoro. Quest’anno abbiamo ripetuto il progetto. Tra l’altro, chi ha materialmente scritto questo progetto è con me ed è l’arch. Marco Rondina del Comune di Sassocorvaro. Su indicazione sempre del nostro vescovo, abbiamo pensato, quest’anno, di aiutare i padri comboniani in Uganda. Abbiamo ripresentato sull’8 per mille un altro progetto, questo progetto ci è stato approvato, però non è stato finanziato. La motivazione sta nel fatto che su circa 100 milioni di euro che ogni anno i cittadini italiani destinato allo Stato per l’8 per mille, 80 sono stati distolti dal Governo, con la legge finanziaria dell’anno scorso, per finanziare gli interventi di missione delle forze armate in giro per il mondo. Credo che sia molto discutibile l’utilizzo di questo fondo. Credo che, per esempio, il Consiglio regionale potrebbe prendere in considerazione un ordine del giorno che invito il presidente Minardi a far votare, che ripristini il fondo nelle sue finalità originarie, perché altri come noi possano trovare i soldi per fare questi progetti.

PRESIDENTE. Dopo i progetti passiamo alla presentazione dello statuto dell’Associazione Università per la pace. E’ previsto l’intervento del consigliere Umberto Trenta e, a seguire, l’assessore Ugo Ascoli.

Umberto TRENTA, Consigliere regionale. Nel ringraziare prima di tutto l’organizzazione, che è la parte più umile dei lavori di Consiglio, ma che come sempre dà lezioni di concretezza, di attenzione e di capacità, vi chiederei, per questa organizzazione, umilmente un piccolo applauso, perché se lo meritano tutti.

(Applausi)

Passiamo ai fatti concreti. Se io adesso vi chiedessi di alzarvi dalle sedie e di fare cinque secondi di riflessione su tutti i martiri per i diritti umani, voi lo fareste? Questo è il primo passo dell’Università per la pace. Grazie.
Oggi è un giorno importante per questa città, per questa provincia, per questo territorio. Ringrazio la sensibilità della Regione Marche che all’unanimità ha approvato questa legge, da non confondere con unanimismo, perché ci sono stati cinque anni di lavoro tribolato, quattro proposte di legge che oggi hanno prodotto questa sintesi e la condivisione convinta e partecipe di tutti sull’articolo 15 della legge 9 del 2002, che recita “Associazione Università per la pace”, con sede ad Ascoli Piceno. E’ questo, forse, il primo miracolo dopo i tanti già fatti, della figura di riferimento laica — questo è un progetto laico — madre Teresa. Il giorno in cui fu insignita del Nobel per la pace, lasciò per le Nazioni Unite una testimonianza nelle parole che io non debbo leggere ma che voi dovreste leggere, perché così ci capiremmo reciprocamente. Le istituzioni sono un passo importante nella vita della società e hanno risposto alla grande intuizione di Manuel Kant quando lanciò il seme di quella che sarebbe poi stata l’Onu. Oggi l’Onu è in difficoltà per un motivo semplice: per il diritto di veto. E allora noi trasformeremo questo cammino in “no al veto, sì al voto, sì alla vita”. La vita è l’affermazione concreta, profonda, essenziale ed assoluta dell’uomo. L’uomo si genera per la vita e genera vita. Oggi siamo ad Ascoli Piceno a parlare istituzionalmente di uno statuto. Persona più appropriata non poteva essere che l’assessore Ugo Ascoli, che parlerà dello statuto sul quale noi stiamo lavorando. Ieri eravamo tutti in penoso lavoro con il dott. Bellardi.
Che cosa abbiamo stabilito? Che ci saranno delle regole condivise, concertate e statuite. Ci saranno i soci fondatori, cioè l’intera Regione Marche, affinché questa legge regionale dia risultati significativi.
L’Associazione Università per la pace nasce per essere di raccordo diretto ed assoluto con la Fondazione Nobel e con l’Onu. L’Onu già conosce il progetto e il 18 novembre 2003 Kofi Annan a Pristina, dove gran parte del progetto sta camminando grazie all’impegno personale del presidente Rugova, in piazza della Riconciliazione, ne ha parlato. Non ci sarà pace finché noi non perdoniamo e finché non ci riconciliamo. E’ un assoluto. L’Università per la pace è uno strumento operativo che sancisce un passaggio epocale, dalla pace parlata alla pace operata. Gente del volontariato, che è un assoluto vero del concetto della operatività, fa progetti, iniziative che io condivido tutte. A voi non chiedo solo condivisione, sarebbe marginale, ma convinzione in quello che stiamo facendo qui. L’illuminato presidente Minardi non me ne voglia se per cinque anni l’ho tormentato, ma qui, adesso, cito il prof. Ugo Ascoli: insisti, persisti, perché alla fine conquisti. Il prof. Ugo Ascoli questo lo diceva all’università, io l’ho applicato in Consiglio, quotidianamente ho infastidito tutta la maggioranza: Martoni, Procaccini, Agostini, Castelli. E’ venuto anche, e mi ha fatto piacere, Novelli. Quindi destra e sinistra, proprio perché sono convinto che la pace non appartenga a nessuno dei due schieramenti, all’unisono hanno risposto con convinzione e con condivisione. Adesso opereremo.
Avevo sì, il protocollo dei 40 consiglieri regionali, compresi i due presidenti, ma io non potevo andare oltre, perché non sarebbe stato intelligente. Il passaggio vero qual è? La Fondazione Nobel metterà “a lavorare” i Premi Nobel. La domanda di tutti era “ma quanto costano?”. Basta un protocollo d’intesa in base al quale il conferimento del Premio Nobel vincola il Nobel appena “sfornato” ad essere presente sette giorni al mese, per dodici mesi all’anno, 84 giorni, sui problemi interdisciplinari, perché la vera soglia della povertà è l’informazione negata. Quando gli altri non sanno, sono nella condizione di povertà, perché la globalizzazione pone in eccesso la competitività. Noi dobbiamo essere competitivi con la solidarietà convinta e la solidarietà è la cultura dell’amore. Ecco perché il Nobel, laico, madre Teresa. Una vita operata come Premio Nobel, moderna, attuale, vita vissuta per gli altri. Questa è la convinzione che ci deve animare. Io non sono mai “contro”, sono sempre “per”.
Arriviamo alla sfera dello scibile umano. L’Onu fa delle risoluzioni: il 90% delle risoluzioni dell’Onu non si applicano per il veto. Diventeremo allora una struttura nel sapere che opererà insieme, ma “per”, quindi aperta al contributo di tutti. grazie alla Provincia, grazie al Comune, ognuno apporterà i correttivi che vuole per contribuire alla riuscita del progetto. Poi chiedo alle istituzioni locali di capire veramente che stiamo operando qualcosa di unico. L’Associazione Università per la pace non sarà un omologo di Assisi: lì si parla di confessioni religiose, quindi è un progetto spirituale, qui è laico, squisitamente laico e lo resterà sempre. Ci sarà l’apporto di queste persone interessate, ma competenti e specifiche, inviti mirati per dire “fate parte di diritto ad una associazione regionale che ha sede ad Ascoli Piceno”.
Spero di essere stato chiaro in quello che ho detto, ma sicuramente sarò sempre determinato, perché, ripeto, chi si mette sulle spalle un progetto deve crederci, perché non può essere convincente nei confronti degli altri se non ci crede. Gli insegnamenti sono aperti a tutti, i correttivi sono il fondamento principale che muove le mie azioni, cioè “venite per costruire”. Non è ammesso chi vuol farci perdere tempo. Sarà ascoltato, ma sarà contrastato chi cercherà, con artifizi e cavilli giuridici di fermare la mia azione, perché ho parlato chiaro sia all’assessore Ascoli, sia al dott. Bellardi, ho parlato chiaro con il presidente D’Ambrosio, ho parlato chiaro con il presidente Minardi. Questa associazione, che è legge regionale, oggi muove i primi passi verso quello che sarà il passaggio epocale dalla pace parlata a quella operata. Poi i progetti, insieme li costruiremo, con piani annuali, individuando i progetti-cardine che saranno poi sostenuti economicamente.
Ringrazio le istituzioni locali che hanno risposto sì. Operativamente già il CUP ci ha dato l’organizzazione logistica e questo significa la possibilità, con il polo di Sant’Agostino concesso dal Comune, di fare i primi passi verso, doverosamente il master sulle scienze ambientali che è fatto dall’università. Noi creeremo una rete che sarà poi tendente al CUMDU, Consorzio universitario mondiale dei diritti umani, in raccordo con tutte le università internazionali. E’ un progetto di pace, ma sul sapere. Quindi educare alla pace attraverso la scolarizzazione, cioè dare a tutti un’informazione corretta e in tempo reale. Il resto ce lo mette l’animo umano. Su questo non dico dall’università all’unità, ma non c’è solidità se non c’è unità. Come si dice, e pluribus unum, nihil solidum nisi unum, cioè “siamo legati tutti allo stesso destino”. Io ritengo che questa sia una strada che si possa percorrere e dico con le parole di Indira Gandhi: “le strade della pace”. No, la pace è la strada.

PRESIDENTE. Ha la parola l’assessore Ugo Ascoli.

Ugo ASCOLI, Assessore Regione Marche. Il mio intervento sarà meno plastico di quello di Umberto Trenta, ma cercherò di essere concreto.
Innanzitutto, quando nel 2002 abbiamo promosso questa legge regionale, “Attività regionali per la promozione dei diritti umani, della cultura di pace, della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale”, la lunga discussione che c’è stata in Consiglio regionale allora con il contributo di tutti e naturalmente con il pervicace già contributo di Umberto Trenta, ci ha portato a elaborare un testo che, come già anticipato, contiene all’art. 15 l’associazione Università per la pace. E’ stato un momento importante questo dibattito in Consiglio regionale e oggi ne stiamo vedendo le conseguenze, innanzitutto perché in quella legge si stabilirono una serie di direttive di lavoro per la cooperazione internazionale, per la solidarietà, fu istituito il comitato per la cooperazione e la solidarietà internazionale che ha dato grande impulso all’attività della Regione Marche tutta. Avete sentito nella discussione di questa mattina, una serie di iniziative che sono abbastanza impressionanti, se pensate che solo la Giunta regionale ha in piedi 40 progetti di cooperazione decentrata in tutto il mondo e che anche la presidenza del Consiglio regionale ha favorito una serie di progettazioni che sono svolte nel mondo da organizzazioni senza finalità di lucro, sia laiche che religiose.
Ebbene in quella discussione fissammo anche il 10 dicembre come una giornata dedicata alla pace. Fu proprio in quella sede che lo facemmo, all’art. 14, e fissammo anche l’idea che il 27 gennaio, il giorno fissato dal Parlamento nazionale come “Giorno della memoria”, la Regione si sarebbe impegnata a svolgere una serie di attività. Fu quindi un momento di riflessione generale del Consiglio su come impegnare la Regione Marche in queste attività e all’art. 15, come già preannunciato, decidemmo di dare l’avvio a questa Associazione Università per la pace.
Ricordo brevemente a che punto siamo e che cosa stiamo facendo.
Innanzitutto stiamo ragionando su come definire lo statuto. Non esiste ancora uno statuto già definito perché abbiamo voluto che l’Associazione Università per la pace, oltre che essere insediata ad Ascoli Piceno, fosse anche il frutto condiviso, convinto e pienamente responsabile di un’azione comune della collettività regionale, sia degli enti pubblici, sia dei soggetti privati. Ecco perché abbiamo in atto una ricognizione. Abbiamo già svolto delle riunioni, una delle quali veniva citata prima, che si è svolta addirittura ieri ad Ancona e stiamo cercando di capire quali possono essere i contributi e le partecipazioni della collettività regionale a questa associazione. Già ieri, nella riunione che c’è stata e che era stata convocata per consentire a tutti i soggetti pubblici di esprimere la loro opinione, abbiamo avuto una presenza delle Province della nostra regione e dei Comuni capoluogo della nostra regione e da tutti è stato espresso un forte interesse per questa associazione e per le attività che questa associazione svolgerà. Si è conclusa la riunione di ieri dandosi un appuntamento ulteriore a gennaio, in cui ognuno farà le sue osservazioni sulla bozza di statuto che ha cominciato a circolare e che presumibilmente potrà vedere un suo esito definitivo per quella data, ma contemporaneamente si sta avviando una seconda ricognizione presso i soggetti privati della nostra regione: imprese, banche, informazioni. Perché, come recita l’art. 15, al comma 2, la fondazione di questa associazione verrà da parte di enti pubblici e soggetti privati aventi sede nel territorio. Significa che ci avviamo a costituire questa associazione con un concerto di soggetti pubblici e privati che daranno poi il senso e costituiranno la parte promotrice dei progetti che questa associazione potrà portare avanti. Noi contiamo di poter concludere questa istruttoria entro la fine di gennaio e di poter avere entro febbraio la bozza di statuto definitiva, perché come va ricordato, è il presidente della Giunta regionale che promuove la costituzione dell’associazione, quindi sarà una delibera di Giunta che contiamo di fare entro febbraio, che costituirà l’associazione. Poi il Consiglio regionale provvederà alla nomina della rappresentanza della Regione nell’associazione. Sono questi i due atti concreti con i quali, operativamente, si potrà dire che si conclude questo iter istruttorio e a quel punto avremo pienamente operativa l’Associazione Università per la pace.
E’ ovvio che un’associazione per operare ha bisogno di risorse, di una sede, di progetti, di attività concrete. Proprio in preparazione del bilancio della Regione per il 2005 abbiamo inserito nella previsione uno stanziamento di 60.000 euro per l’associazione. Questo fa sì che avremo una dotazione non certamente ricchissima, ma non indifferente, per poter dare avvio a questa associazione. E’ ovvio che tutti i soci pubblici e privati che parteciperanno all’associazione dovranno contribuire con la loro quota associativa. Sono tutti processi tecnici che vedranno la luce nei prossimi giorni, nelle prossime settimane e solo allora avremo la piena consapevolezza di quante risorse potranno entrare come dotazione iniziale dell’associazione. Ovviamente è prevista la possibilità di contribuzioni successive, di apporti di altri soggetti. Questo si vedrà mano a mano che le attività verranno svolte.
Che cosa potrà fare questa associazione? E’ vero che manca ancora una bozza definitiva di statuto, ma sappiamo, proprio perché fissato nella legge, quali sono le sue attività. Sono attività che potrebbero essere riassunte nell’idea di un centro di documentazione e di un centro di “propaganda” nel senso buono del termine, di iniziative per la pace. Il centro di documentazione dovrà essere costituito collegandosi con le banche dati nazionali, europee e internazionali che esistono sul tema, dovrà provvedere alla produzione di materiale didattico e informativo, volto a divulgare conoscenze su questo tema del tipo di quelle che abbiamo visto oggi, ma anche molto di più e soprattutto dovrà promuovere campagne nazionali, di solidarietà internazionale, potrà promuovere convegni, tavole rotonde, seminari, potrà realizzare rapporti di collaborazione con i più qualificati centri di ricerca a livello regionale e non. Insomma dovrà anche lavorare molto con tutte le comunità della regione interessate ai temi dell’educazione, della cultura, della istruzione.
E’ un panorama amplissimo, che dovrà fare di questa associazione un punto di riferimento a livello regionale sicuramente e a livello anche nazionale, se possibile anche oltre i confini della nazione, visto che il tema ha una sua declinazione mondiale.
Di sicuro l’associazione sarà insediata ad Ascoli Piceno e credo che sia un insediamento assolutamente congruo con la storia di questa città, come ricordava questa mattina in apertura il sindaco Celani. Ci sono addirittura delle tradizioni religiose che risalgono a molti secoli addietro, che pongono questa città in questo contesto, ma poi ci sono anche altri fatti che vanno ricordati, non da ultimo il fatto che il Comune e la Provincia di Ascoli Piceno sono stati insigniti anche della Medaglia d’Oro della Resistenza, quindi ci troviamo in un luogo nel quale ci sono valori religiosi, valori laici che depongono a favore del ruolo che questa città può giocare nel panorama internazionale.
Sono quindi convinto che sia stata una buona idea quella di collocare l’Università per la pace ad Ascoli Piceno, sono convinto che potrà essere una buona strumentazione a disposizione dell’azione della Regione e non v’è dubbio che quello che sarà nei fatti, concretamente, l’associazione, dipenderà dal ruolo che i soggetti pubblici e privati che la costituiranno vorranno darle, e soprattutto dipenderà dalle attività precise e concrete che si andranno a fare.
Sono molti i capi su cui possiamo lavorare, credo che la legislatura, che ormai va a chiudere i suoi battenti, potrà porre come uno degli ultimi atti della Regione, la costituzione operativa di questa associazione e credo che sia un bel lascito che faremo alla legislazione futura.

PRESIDENTE. Grazie all’assessore Ugo Ascoli per averci illustrato i contenuti della legge ma soprattutto le finalità dell’Associazione Università per la pace. Ci ha ricordato anche che c’è la disponibilità di qualche risorsa economica per poter partire. Io ribadisco che anche il Comune di Ascoli Piceno ha già aperto un piccolo stanziamento per far sì che, appena approvato lo statuto, il tutto possa partire. Occorrerà poi trovare una sede adeguata, anche prestigiosa per quanto riguarda l’associazione e io mi auguro che nell’ambito più ampio del progetto dell’università che stiamo realizzando qui ad Ascoli Piceno, trovi collocazione anche l’associazione che va nel verso del progetto culturale di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Ha ora la parola il consigliere regionale Guido Castelli.

Guido CASTELLI, Consigliere regionale. Mi associo ai saluti che in questo caso come consigliere regionale porgo alla mia città, che ha avuto questo onore, questa occasione prestigiosa di celebrare questa giornata della pace proprio qui ad Ascoli Piceno e bene ha fatto il presidente Minardi a unire il concetto di pace a quello di diritto umano.
Io mi limiterò a un saluto, ma non posso non sottolineare come la pace non è se non c’è libertà, la pace non può esservi se non c’è rispetto della persona umana, dei diritti di tutti, anche i diritti ad una crescita dei popoli, del benessere, del progresso sociale, nella ricchezza, se possibile, nel potersi affrancare dalla povertà, questa grande minaccia di cui si è detto prima.
La frase secondo la quale non c’è pace senza libertà ci richiama un principio che anche Sant’Agostino ha ricordato in alcuni suoi scritti, quello secondo cui la pace non è solo l’assenza di guerra, la pace non è solo il tacere dei cannoni. Durante lunghe dittature si sono verificate situazioni similari, ma se non c’è libertà, se non c’è rispetto della persona non si può parlare di pace. Questo è un concetto tanto più vero oggi, in un momento in cui la società moderna è afflitta e minacciata dalla peste della modernità, che è il terrorismo, quel terrorismo che ha prodotto le vittime di cui diceva prima il sindaco Celani citando la poesia di Sepùlveda.
In questa situazione ciascuno di noi deve portare su di sé il compito di un’assunzione di responsabilità e soprattutto ricordare, in una giornata che non è solo quella che ricorda la sottoscrizione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ma anche la Madonna di Loreto, che è una madonna di pace, gli italiani che in questo momento sono operatori di pace. Sono i nostri militari — alpini, carabinieri, finanzieri — che in una misura superiore a 9.000 oggi stanno cercando di garantire, anche su mandato dell’Onu, la pace in tante zone martoriate del mondo.
Voglio in questa occasione donare — il dono era per il presidente Minardi, lo faccio al mio sindaco Celani — un libro di un ascolano, carabiniere della “Folgore”, da poco in pensione, che ha fatto l’operatore di pace su mandato dell’Onu per almeno dieci missioni in Kosovo, in Albania, in Somalia. Questo libro bellissimo di fotografie si intitola “Missioni militari per la pace”. La pace, in un popolo degno di essere chiamato tale, in una società che sa prendersi le responsabilità che le circostanze tragiche della guerra e del terrorismo impongono, sa anche essere operatrice di pace in divisa. Quindi, in questa giornata di pace il nostro ricordo, il nostro ringraziamento non può che andare anche a loro, ai nostri soldati a cui non dobbiamo mai smettere di dire grazie per quello che fanno per le popolazioni più povere, per i bambini affamati, per i bambini senza più riferimento in quelle zone martoriate. Il libro è di Luciano Cappelli che era qui con noi ed è dovuto andar via, ma lo consegno al mio sindaco, in maniera tale che lo consegni, successivamente, al presidente del Consiglio Minardi.

PRESIDENTE. Grazie all’avv. Castelli. Farò avere questo libro al presidente Minardi. L’ascolano Cappelli è venuto a trovarmi e già ne ho avuto copia. Credo che anche il Comune di Ascoli ne acquisterà diverse copie per consegnarle ai ragazzi delle scuole, a testimonianza di quanto effettivamente stanno facendo le forze armate a cui va anche il mio ringraziamento unito a quello dell’avv. Castelli.
Ha la parola il consigliere regionale Pietro D’Angelo.

Pietro D'ANGELO, Consigliere regionale. Ringrazio i presenti per l’attenzione dedicata a questa giornata importante, dedicata alla pace. Il tragitto amministrativo per arrivare alla formulazione della legge regionale sull’istituzione dell’Università per la pace ad Ascoli Piceno non è stato senza ostacoli, anzi proprio nell’individuazione di Ascoli Piceno sono stati forse i maggiori ostacoli, ma nonostante tutto siamo riusciti in questa iniziativa, riteniamo che questa città abbia la vocazione e anche la determinazione di far valere questo messaggio che è di pace. Sono d’accordo con quanto detto dal collega Castelli: non c’è pace senza libertà. E’ vero, collega Castelli, ma la libertà non deve essere la libertà di affamare gli altri, perché spesso una piccola minoranza che ha il massimo delle ricchezze, delle risorse energetiche e quant’altro, affama la gran parte del pianeta, non solo affama ma distrugge l’ambiente e controlla tutte le ricchezze. Non ci può essere pace in questa libertà. La libertà va perseguita in un’ottica di pace, come impegno giornaliero. La pace non va vista come una tregua tra un conflitto ed un altro, ma va costruita giorno per giorno, attraverso la mobilitazione di tutti, attraverso iniziative anche culturali. La pace va perseguita attraverso il raggiungimento di obiettivi come quelli della giustizia, che in questo secolo non possiamo dire trionfi con facilità. La pace va perseguita con il rispetto dei diritti umani, con l’equilibrio delle ricchezze, va perseguita nel rispetto della dignità umana e quanto sta succedendo oggi nei vari conflitti, va ricercato proprio in questa carenza di giustizia, in questa esasperazione di collettività. In quanto sta succedendo soprattutto in Medio Oriente, per quanto mi riguarda, la componente maggiore è l’esasperazione di una popolazione, di più popolazioni o di individui. Nessuno si fa saltare in aria imbottito di tritolo se non è esasperato.
Dicevo che la pace si persegue nell’impegno attraverso la solidarietà internazionale, attraverso l’impegno nella cooperazione allo sviluppo. Così si persegue la pace. Con il rispetto e la conoscenza delle diverse civiltà e delle diverse identità culturali, delle diverse etnie, nel rispetto delle diverse religioni. Mai cosa più nefasta è stata, nel mondo, il conflitto di religioni. Nel rispetto e nella conoscenza, perché se non si conosce non si può rispettare, e allora bisogna conoscere. Ognuna di queste diversità deve costituire ricchezza, non elemento di divisione, quello che sta succedendo oggi nella società contemporanea.
E’ indispensabile che si abbia il coraggio di denunciare la cultura degli armamenti, che una valanga di risorse economiche sottratte alla collettività, proprio a quelle persone che muoiono di fame, non venga indirizzata verso l’economia delle armi. Nell’economia delle armi sono coinvolte anche banche che sono sorte come enti per la verità non di progetto, tra l’altro; banche coinvolte nel commercio delle armi. Per fortuna c’è un’iniziativa del gruppo Intesa proprio contro la penalizzazione di queste banche. Occorre avere la forza e il coraggio di denunciare quando capi di stato sono espressioni delle lobbies degli armamenti, del controllo delle fonti energetiche. Questi sono pericoli per la pace e ogni giorno l’impegno deve essere contro questo modo di concepire la convivenza mondiale.
Infine, ma non per ultimo, l’importanza fondamentale, che qualcuno dimentica, è il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli. L’ho detto per ultimo perché mi voglio ricollegare ad una mozione che ho presentato insieme ad altri colleghi in Consiglio regionale, sul problema di una popolazione, quella del Saharawi, meglio conosciuta come la “problematica del Fronte Polisario”, del Sahara Occidentale, questa colonia dissoltasi nel tempo. Se andate a vedere la cartina geografica, sotto il Marocco vedrete che non c’è la Mauritania ma c’è un vuoto, geograficamente. Che cosa è successo? Che con il dissolversi del colonialismo, l’ex Sahara Occidentale è stato invaso da nord dal Marocco e da sud dalla Mauritania. La popolazione Sahara occidentale, oggi Repubblica Democratica del Saharawi, riconosciuta dall’Unione degli stati africani, è fuggita nel peggiore deserto algerino. Io sono stato nei loro campi: sono trent’anni che vivono senza acqua, senza luce, senza alcunché in questo deserto. C’è più di una risoluzione Onu che dice che deve essere loro data la possibilità di autodeterminazione attraverso un referendum. C’è stata una missione Minurso dell’Onu, ci sono state recentemente ulteriori risoluzioni dell’Onu all’unanimità per l’autodeterminazione di questo popolo. Ebbene, questo popolo continua a essere relegato nel deserto.
La pace si persegue anche attraverso la conoscenza, attraverso l’impegno per la risoluzione anche di questi conflitti minori, perché è indispensabile che il concetto di pace, per essere condiviso e soprattutto perseguito, deve essere alimentato, ma alimentato da buoni intenti, non da cattivi intenti.

PRESIDENTE. Passo la parola al presidente del CUP, avv. Achille Bonfigli. Sapete che il CUP sarà, insieme al Comune, alla Provincia e ad altri enti, un ente fondatore dell’Associazione Università per la pace.

Achille BONFIGLI, Presidente Consorzio Universitario Piceno. Grazie dell’onore che ci fate di poter prendere la parola in questo Consiglio regionale. Non vi nascondo la grande emozione che ho provato oggi entrando in questa sala, perché credo che stiamo costruendo tutti insieme qualcosa di veramente molto importante. Il Consorzio Universitario Piceno si occupa di tenere rapporti con l’università, si occupa di formazione, si occupa dello sviluppo di un territorio, nella consapevolezza e nella convinzione di tutti gli enti consorziati — Comune di Ascoli Piceno, Provincia, Comune di San Benedetto del Tronto, Comune di Spinetoli, Comune di Offida, Comune di Castel di Lama, Comune di Folignano e altri che stano chiedendo di entrare — di come la formazione, lo sviluppo, la ricerca scientifica siano un fattore determinante per lo sviluppo.
Diceva bene il consigliere Trenta: la pace è la strada; la pace quale momento nel quale, nel confronto delle idee, si costruisce il futuro.
Questa consapevolezza è la fonte dell’emozione, anche, di chi vi parla, nel portare la delibera con la quale già l’assemblea del CUP ha approvato la bozza di statuto che alla Regione ci è pervenuta. Quindi recepiremo le modifiche che ci saranno, ma siamo già in linea pronti a portare la nostra piccola pietra, il nostro sassolino nella costruzione di questa grande casa comune che sarà l’Associazione Università per la pace, laddove universitas e pace troveranno la loro giusta collocazione. Abbiamo già iniziato a costruire concretamente, abbiamo coniato il marchio “verso l’Università per la pace” e abbiamo già attivato un primo master chiamando come partner di questa iniziativa la neonata Università Europea di Roma, una università privata riconosciuta. Abbiamo colto l’occasione grande dell’ultimo Premio Nobel per la pace e attivato un master proprio sulle scienze ambientali, abbiamo tirato il filo della pace partendo proprio dalle scienze ambientali. Immaginate soltanto quanto grande sarà, da qui in avanti, il problema dell’acqua per la determinazione degli equilibri geopolitici e per la costruzione di una concreta politica di pace.
Mi è stato chiesto se sono ottimista o pessimista su questa iniziativa e io ho risposto “sono determinato”, perché per queste cose ci vuole determinazione, bisogna essere convinti di essere sulla via giusta e soprattutto ci vuole una grande condivisione sociale. Questo progetto, come il progetto di università che stiamo cercando di costruire ad Ascoli, nasce, può crescere, può svilupparsi, può affermarsi soltanto nel momento in cui ciascuno, dai vertici delle istituzioni fino alla massaia che va la mattina a fare la spesa, abbai la consapevolezza profonda di essere parte di un grande progetto, altrimenti stiamo perdendo tutti tempo. Questa è la sfida che dobbiamo tutti porci e sulla base di questo faccio a voi, a me stesso e a tutti quanti i migliori auguri.

PRESIDENTE. Grazie ad Achille Bonfigli, anche per avere rispettato i tempi. Era previsto l’intervento del presidente della Camera di commercio, che però non vedo, del presidente della Fondazione Cassa di risparmio Vincenzo Marini Marini che credo pure si sia allontanato per impegni e dell’ing. Pietro Guidi Massi, prima presente in sala ma che credo abbia guadagnato la strada di San Benedetto perché aveva anche lui un impegno.
Ha la parola l’assessore Silvestri, delegato alla pace per quanto riguarda il Comune di Ascoli Piceno, poi invito il rappresentante delle circoscrizioni del Comune di Ascoli Piceno Mario Paoletti, quindi l’ultimo intervento lo faremo fare a una donna.

Giovanni SILVESTRI, Assessore Comune di Ascoli Piceno. Quale assessore al decentramento con delega alla pace del Comune di Ascoli Piceno, ringrazio il Consiglio regionale per l’occasione di un intervento che mi viene offerto oggi che si parla specificamente di istituzione, nella nostra città, della sede dell’Università per la pace. Purtroppo si fa spesso abuso del termine, senza però che ci si soffermi troppo sul suo profondo significato, con la conseguenza che, in nome di cause a volte anche futili, si combattano troppe guerre. Eppure sarebbe necessario e anche estremamente facile riflettere sul tema, poiché, come ha voluto puntualizzare qualcuno che della solidarietà, dell’amore fra gli uomini, del rispetto dei diritti umani ne ha fatto ragione di vita, basterebbe sgombrare l’animo dall’odio e dal rancore, basterebbe essere sereni, poiché quando si parla di pace bisogna parlarne come ne parlano i fanciulli, non pensando a nient’altro.
In tutti i tempi ci si è sforzati di ragionare in merito, la cristianità è piena di esortazioni, non mancano pagine di letteratura dedicate all’argomento. La storia ci insegna che Gandhi ottenne l’indipendenza dell’India predicando la non violenza. Eppure, specie dall’11 settembre 2001, quanta furia, quanta brutalità, quanta aggressività sull’uomo, in Iraq, in Afghanistan, in Palestina ecc.
Fortunatamente con la dovuta razionalità si sta dicendo basta a tutto ciò, si inizia pian piano a riflettere sulla pace, si istituisce il decennio dell’Onu per la non violenza e l’educazione ai diritti umani, allo scopo di promuovere, finalmente e durevolmente, un progetto teso a sostituire la cultura della guerra con quella della pace, la cultura della competizione selvaggia con la cooperazione, l’individualismo con la solidarietà, l’arricchimento del singolo con la redistribuzione.
E’ con tali obiettivi che il 18 giugno 2002 il Consiglio regionale
della Regione Marche ha votato all’unanimità la legge n. 9 recante “Attività regionali per la promozione dei diritti umani, della cultura di pace, della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale” che, all’art. 1 sancisce il ricorso alla cooperazione internazionale quale strumento essenziale per il raggiungimento della pace e dello sviluppo umano come diritti fondamentali dei popoli. E’ certamente ambizioso e degno di encomio il fine che si propone la Regione Marche, poiché è di tali facoltà che il singolo ha bisogno oggi, in quanto i diritti umani vengono ugualmente calpestati perseguendo il debole, affamandolo, terrorizzandolo quando si colpisce l’inerme e l’indifeso.
Questa nostra città, che è stata grande esempio di abnegazione, di coraggio e di solidarietà, deve essere fiera che l’art. 15 di tale legge regionale ne faccia sede dell’Associazione Università per la pace e quale assessore con delega alla pace in questo Comune, mi sento di dover ringraziare vivamente tutti i consiglieri regionali per la sensibilità mostrata votando all’unanimità l’istituenda università.
In particolare un ringraziamento va ai consiglieri Trenta e Martoni, che hanno saputo ancora una volta sottolineare come, proprio di fronte alla pace con la “P” maiuscola, non sono ammesse divisioni politico-partitiche, per cui si sono insieme battuti per l’importantissimo riconoscimento a una città decorata al valor militare dal Presidente della Repubblica Ciampi.
La finalità dell’università deve essere a tutti chiara. Infatti essa deve operare per assicurare un divenire di pace, di prosperità e di sicurezza. A tale scopo deve promuovere investimenti, deve favorire scambi di opinioni, deve indurre alla cooperazione, poiché gli esempi del passato ci ricordano, con il Trattato di Versailles, la conclusione della prima guerra mondiale che, infierendo sul più debole non si costruisce la pace duratura ma si favoriscono nuovi e più cruenti, disastrosi avvenimenti.
Mi sia permesso suggerire che le lezioni che nella nostra Università per la pace si dovranno tenere, siano ancora indirizzate a promuovere il pieno recupero dell’Onu. Infatti è solo rafforzando questa organizzazione sopranazionale che si può imboccare una via di progresso e solidarietà tra i popoli diversi, a garanzia di serenità, in ogni luogo, di questa nostra travagliata terra.
E’ di tutta evidenza che, perché l’obiettivo del pieno funzionamento di questa organizzazione, almeno nel campo della no belligeranza, si possa conseguire con soddisfazione, bisogna che siano operosi anche gli organismi paralleli costruiti in Italia con tale obiettivo. Si desidera fare riferimento al Coordinamento nazionale degli enti locali che promuove iniziative a sostegno dei diritti umani e sotto l’egida del quale, nel prossimo marzo, ad Ascoli Piceno si terrà un’intera settimana dedicata alla pace; alla Tavola della pace, organismo che raccoglie i sindacati, enti locali ed associazioni laiche e religiose. Infatti, attraverso tutte queste strutture si può sperare di far giungere anche alle orecchie più sorde il dettato fondamentale della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e in diritti. Essi devono agire in spirito di fratellanza”. E’ chiara la natura giuridica, intesa come corpo di norme, della Dichiarazione, la quale, pertanto, non può divenire strumento permanente di garanzia e di giustizia internazionale se non la si studia con profondità in aule universitarie, se non le si danno connotazioni scientifiche che permettano di evidenziare i suoi strumenti di tutela nell’ambito del diritto internazionale pubblico e della giurisdizione penale internazionale.
Dunque possono essere assimilate a norme, intese come regole di condotta, le dichiarazioni del nostro Papa, del nostro Presidente della Repubblica che non tralasciano occasione per raccomandare al popolo italiano, a tutti i popoli la cooperazione, la solidarietà, l’affetto reciproco. Infatti è con questi strumenti, in nome di un comune Dio che si potranno risolvere pacificamente i contrasti inevitabili fra popoli diversi, poiché si devono interpretare sempre le guerre per rinsaldare i fondamenti della pace.

PRESIDENTE. Invito il presidente della Circoscrizione di Monticelli Mario Paoletti, che leggerà un documento in rappresentanza delle nove Circoscrizioni del Comune di Ascoli Piceno, approvato recentemente in una seduta dei presidenti. Quindi questo tema è stato portato all’attenzione anche della struttura periferica dell’Amministrazione comunale, le circoscrizioni che, sapete, sono degli organi decentrati molto importanti, perché rappresentano l’elemento di congiunzione tra il cittadino e l’Amministrazione comunale, quindi un elemento di partecipazione molto forte.

Mario PAOLETTI, Presidente della Circoscrizione di Monticelli. Vorrei anzitutto ringraziare il Consiglio regionale a nome delle nove Circoscrizioni di Ascoli Piceno per avere offerto la possibilità di intervento in occasione di questo Consiglio regionale un po’ speciale, con un impegno su un bene di valore assoluto qual è la pace.
Vengo quindi a leggere il documento di adesione all’Università per la pace adottato da tutti i consigli circoscrizionali della città.
“Premesso che le Circoscrizioni del Comune di Ascoli Piceno Centro Storico, Borgo Solestà, Campo Parignano, Porta Maggiore SS. Filippo e Giacomo, Mozzano, Venagrande, Piagge, Monticelli e Villa S. Antonio esprimono la piena condivisione dei principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, della Carta delle Nazioni Unite e delle Raccomandazioni dell’Unesco;
richiamando le risoluzioni dell’Onu che proclamano l’anno 2000 Anno internazionale per la cultura della pace (risoluzione 5215 del 20 novembre 1997) e il periodo 2001-2010 Decennio internazionale per una cultura della pace e della non violenza per i bambini del mondo (Risoluzione Onu 5325 del 10 novembre 1998);
condividendo le dichiarazioni delle Nazioni Unite sul ruolo fondamentale della società civile che qui di seguito vengono sinteticamente riportate:
— Dichiarazione per una cultura di pace, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 settembre 1999: a) l’Assemblea generale promulga solennemente la presente Dichiarazione per una cultura di pace, così che governi, organizzazioni internazionali e società civile possano essere guidati dalle sue norme nelle loro attività per promuovere e consolidare una cultura della pace del nuovo millennio; b) l’istruzione di ogni grado costituisce uno dei principali strumenti per costruire una cultura di pace. In questo contesto è di particolare importanza l’educazione ai diritti umani; c) la società civile ha bisogno di essere pienamente interessata nello sviluppo al massimo grado di una cultura di pace; d) un ruolo chiave nella promozione di una cultura di pace compete a genitori, insegnanti, politici, giornalisti, organismi e gruppi religiosi, agli intellettuali, a quanti sono impegnati in attività scientifiche, filosofiche, creative e artistiche, a chi opera nel settore sanitario e in quello umanitario, agli assistenti sociali e ai managers ai vari livelli, come pure alle organizzazioni non governative;
— Programma di azione per una cultura della pace, adottato dall’Assemblea generale dell’Onu: a) per aumentare la diffusione dell’attività per una cultura di pace la società civile dovrebbe essere coinvolta a livelli nazionale, regionale ed internazionale; b) la collaborazione tra e all’interno dei diversi attori dovrebbe essere incoraggiata e consolidata, così da cerare un movimento globale in favore di una cultura della pace; c) per ampliare il numero di iniziative che promuovono una cultura di pace, intraprese da diverse istituzioni educative in diverse parti del mondo. Tra esse sono comprese l’Università delle Nazioni Unite, l’Università per la pace e il progetto per abbinare l’Università e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura);
considerato che per il raggiungimento e il mantenimento della pace nel mondo è fondamentale che la cultura della pace non si applichi solo a livello mondiale ma si attui a tutti i livelli, secondo un tracciato di continuità che dall’Onu e dalla Comunità europea agli enti locali, fino al singolo cittadino. Atteso infatti che in una società non può esservi pace senza che sia garantita la libertà, giacché la cultura della pace presuppone la centralità della persona umana, la tutela dei diritti umani e il rispetto delle idoneità dei popoli che hanno il diritto di costruire il proprio futuro attraverso la crescita economica e sociale;
richiamando altresì la risoluzione della Regione Marche, autoproclamatasi “regione di pace” (verbale Consiglio regionale n. 82 del 17 dicembre 1996: risoluzione sulla seconda Giornata nazionale per la promozione della cultura e della pace e la solidarietà dei popoli del 10 dicembre 1996) nonché la legge regionale n. 9 del 2002, approvata all’unanimità, recante “Attività regionali per la promozione dei diritti umani, della cultura di pace, della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale”;
prendendo atto della necessità di una comune riflessione sulla dignità della persona umana e sulla pace e di un comune impegno affinché i su specificati valori divengano patrimonio di tutti i cittadini ascolani quali interpreti delle più profonde esigenze del nostro tempo per l’istituzione dell’Associazione,
le Circoscrizioni esprimono
il pieno sostegno al progetto dell’Università per la pace di Ascoli Piceno (art. 15 legge regionale n. 9 del 2002), quale strumento di risposta e attuazione delle fondamentali raccomandazioni degli enti ed istituzioni sopranazionali, individuando la condizione dell’infanzia e dell’adolescenza come punto di osservazione prevalente (scolarizzazione della cultura della pace e dei diritti umani) per formare l’umanità di oggi e di domani a rafforzati sentimenti di pace in vista di un avvenire di prosperità e sicurezza ed a tal fine promuovono iniziative di educazione alla pace all’interno del proprio territorio, individuandovi veri laboratori di pace intesa nella sua accezione più ampia, stimolando in tal senso cittadini, gruppi ed istituzioni affinché Ascoli diventi “città per la pace” e la pace stessa realtà concreta della città”.

PRESIDENTE. Complimenti a Mario Paoletti in rappresentanza delle Circoscrizioni. Un documento molto articolato, con un impegno ben preciso da parte delle Circoscrizioni: quello di voler operare nel loro interno con una serie di iniziative per promuovere la pace, partendo dal basso, come diceva questa mattina il dott. Bellardi. Un documento di partecipazione decentrata.
Avrebbe ora dovuto parlare l’assessore provinciale con delega alla pace Licia Canigola, che non è presente in quanto ha partorito da qualche giorno. Ha predisposto un documento di cui darà lettura l’ex assessore provinciale Patrizia Rossini, oggi sindaco di Castel di Lama.

Patrizia ROSSINI, Sindaco di Castel di Lama. Un ringraziamento particolare, oltre che al sindaco di Ascoli Piceno che ospita questo Consiglio regionale aperto, al presidente Minardi e a tutti i consiglieri regionali, al presidente della Provincia Massimo Rossi e a tutti voi che avete garantito una presenza numerosa anche in questo orario tardo.
Sono emozionata a rappresentare in questo consesso la collega Licia Canigola che ha partorito il primo dicembre uno splendido bimbo che spera di consegnare ad un mondo migliore, adoperandosi quotidianamente affinché questo accada. Voglio sottolineare soprattutto l’impegno che questo assessorato della Provincia di Ascoli Piceno, assessorato alla pace e di educazione alla mondialità, uno dei rarissimi assessorati alla pace e di educazione alla mondialità che le Province d’Italia hanno ma che anche pochi Comuni hanno, come delega, ha svolto negli anni. Un grande impegno che gli ha permesso di finanziare oltre 100 progetti di cooperazione internazionale. Questo lo dico perché dopodomani la Provincia di Ascoli Piceno celebrerà la nona edizione dell’asta per la pace, un’asta importante alla quale tutti dovrebbero partecipare, come hanno fatto negli anni precedenti, perché il ricavato viene da anni impegnato in progetti di cooperazione internazionale, progetti che hanno permesso di realizzare nello Zambia, in Kurdistan, in Eritrea, in Afghanistan, ma anche nella Croazia, in Etiopia, in tantissimi paesi del mondo, interventi importanti che non sono andati solo nell’ottica delle strutture, dei mezzi, dei viveri, ma che hanno voluto, specialmente in un’area come quella del Brasile, del Sudamerica, corsi di formazione professionale affinché i giovani di strada che padre Renato Chiera ha raccolto in una casa, potessero imparare un mestiere e rimanere lì dove sono nati. Una giornata come questa sottolinea le difficoltà che ci sono nel mondo, se pensiamo solamente che ieri Repubblica titolava che ogni sei secondi muore di fame un bambino nel mondo. Basta contare fino a sei, purtroppo, per registrare la morte di un minore nel mondo. Questi sono dati agghiaccianti, ma non sono dati che ci devono avvilire ma che ci devono invece stimolare, perché come è stato detto questa mattina da tutti quelli che sono intervenuti, la pace non deve rimanere nelle mani dei soli potenti del mondo o dei soli amministratori, la pace deve diventare un patrimonio di ognuno di noi, di tutti i cittadini, perché abbiamo constatato che in tante manifestazioni di pace che si sono organizzate la partecipazione è sempre stata numerosissima, piena di donne, di uomini, di giovani, di religiosi, di volontari, di tante associazioni che hanno fatto capire, con questa loro partecipazione, quanto sia importante costruire la pace e quanto sia importante l’apporto di ognuno di noi.
E’ importante diffondere questa cultura attraverso l’educazione alla pace, un impegno che ognuno di noi che amministra si deve prendere, affinché la generazione futura possa crescere attraverso un impegno per costruire la pace, che deve passare attraverso la libertà, la giustizia, ma attraverso la tolleranza e attraverso politiche migratorie che possano far crescere, nascere questi nostri giovani con uno spirito di grande tolleranza e di grande umanità. Dieci anni fa nelle nostre scuole c’erano solo 10.000 ragazzi stranieri, oggi la presenza è intorno ai 300.000. Questi sono dati che ci devono far riflettere e che devono far diventare le nostre politiche quotidiane non politiche di emergenza ma politiche strutturali, affinché tutto quello che noi costruiamo quotidianamente, possa aiutare nel mondo la pace.
Il mio compito era però quello di leggere il messaggio di Licia Canigola, quindi non voglio rubare altro tempo. L’assessore Canigola, alla quale facciamo i nostri migliori auguri, ha voluto giustamente essere presente con il seguente messaggio.
“Quando vengono usate le parole diritti umani la maggior parte di noi pensa alla libertà che sicuramente è una componente indispensabile di un’idea più ampia dei diritti: libertà dalla coercizione e dall’abuso da parte dei governi, libertà di partecipazione pienamente alla vita politica, sociale e culturale della comunità, come diceva Giorgio Gaber, e libertà dalle molte forme di discriminazione che limitano o riducono le opportunità di tante persone. Ma la libertà da sola non basta. Per coloro che vivono in condizioni di estrema povertà e la cui sfida quotidiana è sopravvivere, non possiamo fare granché di quella libertà che spesso viene loro sbandierata, come se bastasse per godere pienamente dei diritti umani. Perciò è essenziale riconoscere che i diritti di ogni persona comprendono il diritto a condizioni di vita dignitose, che le permettano di avere cibo, vestiario, alloggio, cure mediche, istruzione sufficienti per crescere e poter usare concretamente le altre libertà di cui dispone. Nel nostro mondo viene tollerata un’immensa ingiustizia: che un grande numero di persone vivono e molte di esse muoiono senza poter nemmeno soddisfare le più elementari necessità della vita. In altri termini i loro diritti umani fondamentali in ambito economico e sociale vengono violati. Perché, per esempio, l’essere povero, donna, disabile o membro di una minoranza dovrebbe impedire l’accesso a una educazione essenziale che occorre a ciascuno di noi per sviluppare se stesso e dare il proprio contributo per lo sviluppo della comunità? Eppure sono proprio questi fattori che vengono spesso utilizzati per negare o limitare le opportunità educative. Ma è un errore pensare che la povertà e la negazione del diritto umano a uno standard di vita decoroso si verifichi soltanto nei paesi in via di sviluppo. Anche nei paesi del nord del mondo, nonostante le condizioni economiche siano di gran lunga superiori a quelle delle persone che vivono nei paesi in via di sviluppo, ogni giorno si consumano comportamenti scellerati nei riguardi dell’ambiente, delle donne e in particolare dei bambini che sono divenuti un contenitore di miraggi e di aspettative degli adulti ormai ostaggio dei paradisi telematici.
Per concludere, non vorrei che nella giornata odierna si evidenziasse soltanto la negazione dei diritti come prerogativa della povertà economica. Sono assolutamente convinta che anche da noi non mancano esempi di negazione dei diritti, perché viviamo all’interno di una povertà culturale che mina ogni giorno la nostra integrità, le nostre certezze, i nostri valori, il nostro equilibrio. Questo significa che quelli fra noi che sono nella posizione di contribuire alla tutela di quei diritti, non stanno facendo quanto potrebbero e dovrebbero fare. Ma cosa possiamo fare? La cosa importante è rendersi conto che ognuno può fare la differenza. Pochissimi di noi possono dedicare interamente la loro esistenza al benessere degli altri, eppure ognuno di noi può diffondere i valori legati all’altruismo, alla partecipazione e contribuire alla costruzione di società migliori, che trattino tutti gli esseri umani come titolari di diritti economici e sociali”.

PRESIDENTE. Ha la parola ora il consigliere regionale Martoni.

Gabriele MARTONI, Consigliere regionale. Come segretario dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, raccolgo le indicazioni che sono uscite in questa prima metà giornata, alcuni elementi di riflessione, che sicuramente saranno il modo per arrivare il prossimo 10 dicembre 2005, a trovarci in situazioni diverse, che non siano solo di progetto ma anche di incontro. Penso che parlare di pace diventa di anno in anno un fardello sempre più pesante, alla luce delle difficoltà che noi uomini abbiamo nel fare in modo che ad idee e sentimenti sani non corrispondano sempre azioni conseguenti.
Tra i tanti temi di riflessione che sono emersi questa mattina, se parliamo di tante guerre, di queste guerre dimenticate, delle violenze dell’ingiustizia — il fatto che non tutti hanno le stesse cose degli altri — dobbiamo cominciare a pensare che in futuro prossimo ci dovrà essere veramente un incontro di civiltà. Io credo che ogni volta che un uomo incontra l’altro gli si presentano tre possibilità: fargli la guerra, ritirarsi dietro ad un muro, aprire un dialogo. L’uomo esita da sempre tra queste tre opzioni e, a seconda della situazione e della cultura, sceglie l’una o l’altra. Le sue scelte sono mutevoli, non sempre si sente sicuro. Quella della guerra è una scelta difficilmente giustificabile. Secondo me ne escono tutti perdenti, nel senso che la guerra rivela l’incapacità dell’uomo di capire, di immedesimarsi con l’altro, di dimostrarsi buono e intelligente. In questo caso l’incontro con l’altro finisce sempre tragicamente, con il dramma del sangue e della morte.
Nella nostra epoca è stata chiamata apartheid l’idea che ha portato l’uomo a innalzare muraglie e scavare profondi fossati per chiudersi dentro e isolarsi dagli altri. Anche se è stata attribuita solo al razzismo dei bianchi in Sudafrica, in realtà l’apartheid era stata già applicata in passato.
Semplificando, si tratta di una tesi per cui “chiunque non appartiene alla mia razza, religione e cultura è libero di vivere come gli pare, purché lontano da me”.
La cosa però non è così semplice. In realtà si tratta di un concetto basato sulla fondamentale e insanabile disuguaglianza che divide il genere umano. I miti di molte tribù e di molti popoli rivelano la profonda convinzione che gli uomini siamo noi, i membri del nostro clan e della nostra società, mentre gli altri, tutti gli altri sono subumani o addirittura non umani. Un’idea, questa, espressa molto bene in un’antica dottrina cinese, dove il non cinese era considerato la feccia dell’umanità, chiamato “sterco del diavolo”, o al massimo una vittima del destino che non l’aveva fatto nascere cinese. In base a queste convinzioni l’altro era considerato un cane, un topo, una serpe strisciante.
Appare molto diversa, invece, l’immagine dell’altro, all’epoca delle credenze antropomorfiche, secondo cui gli dei potevano assumere sembianze umane e comportarsi come gli uomini. Era impossibile quindi sapere se il viandante, il vagabondo, l’ospite fosse un uomo o un dio travestito da uomo. Questa incertezza, questa intrigante ambivalenza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità, che impone di accogliere il nuovo arrivato con la massima benevolenza possibile.
Emanuel Levinas definisce l’incontro con un altro come un evento, anzi come l’evento fondamentale, quello più importante e che più si addentra nell’orizzonte dell’esperienza. Levinas appartiene a un gruppo di cosiddetti “filosofi del dialogo”, come Buber, Ebner e Marcel, ai quali si è poi unito anche Kirshner. Con le loro riflessioni hanno sviluppato l’idea dell’altro in quanto esistenza unica e irripetibile, in contrapposizione, più o meno diretta, a due fenomeni del ‘900: la nascita della società di massa, che cancella le diversità individuali, e la diffusione delle devastanti ideologie totalitarie.
Per quanto riguarda il modo di procedere verso l’uno e gli altri, questi filosofi escludevano l’opzione della guerra perché portatrice di distruzione e criticavano la scelta dell’indifferenza e dell’isolamento dietro ad un muro. Sostenevano invece la necessità, anzi l’assoluto dovere dell’apertura, della cordialità e della benevolenza.
Nell’ambito di pensieri e convinzioni come questi, da un simile atteggiamento nasce e si sviluppa la grande opera scientifica dell’antropologo Malinowski che cominciò i suoi studi mentre si sviluppava la società di massa. Noi, invece, viviamo nella transizione dalla società di massa a quella planetaria. Molti fattori contribuiscono a questo passaggio: la rivoluzione elettronica, l’incredibile sviluppo delle comunicazioni, l’estrema facilità nel collegarsi e spostarsi, oltre alla nuova consapevolezza nata tra le giovani generazioni e nella cultura in senso lato. In che modo cambierà il rapporto tra noi e i rappresentanti di un’altra o di altre culture? Come influirà sul rapporto io-altro nell’ambito della mia cultura, oltre che fuori di essa? Una domanda a cui è difficile rispondere in modo univoco e definitivo, poiché si tratta di un processo ancora in atto, nel quale siamo personalmente coinvolti e privi della distanza necessaria per giudicare.
Oggi ci sono vere e proprie scuole di filosofia, antropologia e critica letteraria che studiano questo processo di ibridazione, innesto e trasformazione culturali. Ed è importante entrarci dentro, perché si entra veramente in quello che è la cultura della pace.
E’ un processo in atto soprattutto nelle regioni dove i confini statali sono anche frontiere tra culture, ad esempio gli Stati Uniti con il Messico, o nelle gigantesche megalopoli (pensiamo a San Paolo, New York, Singapore) dove si mescolano razze e culture di ogni genere.
Quando si dice che il mondo è diventato mutietnico e multiculturale, non è perché oggi ci siano più etnie e culture di prima, ma perché oggi esse parlano con voce più forte, autonoma e decisa, pretendendo di essere accettate, riconosciute e invitate alla tavola rotonda delle nazioni.
La vera sfida del nostro tempo, l’incontro con la nuova alterità, diversa per razza e cultura, deriva anche da un contesto storico più vasto. Nella seconda metà del ‘900 i due terzi della popolazione mondiale si sono liberati dalla dipendenza coloniale e sono diventati cittadini di stati propri e, almeno sulla carta, indipendenti. Gradualmente questi popoli hanno cominciato a scoprire il loro passato, i loro miti, le loro radici, la loro storia, ricavandone un comprensibile senso di orgoglio. Hanno cominciato ad acquistare un’identità, a sentirsi padroni e signori del proprio destino, odiando chiunque abbia cercato di trattarli come un oggetto, una comparsa, una vittima passiva di dominazione.
Oggi sul nostro pianeta, abitato per secoli da un ristretto gruppo di gente libera e da larghe masse di prigionieri, emerge un numero sempre crescente di nazioni e comunità convinte di possedere un valore individuale. Questo processo di consapevolezza si compie spesso a costo di difficoltà e conflitti di vasta portata. Probabilmente ci stiamo inoltrando in un mondo così nuovo e diverso, che le esperienze storiche attraversate finora si riveleranno insufficienti a capire e a muoversi dentro. Comunque, il mondo nel quale stiamo entrando è il pianeta della grande occasione, un’occasione non certo incondizionata, aperta solo a coloro che prenderanno sul serio il loro compito, dimostrando però di non prendere troppo sul serio se stessi; un mondo che, se da un lato può dare molto, dall’altro pretende anche molto, dove chi cerca scorciatoie spesso non arriva da nessuna parte. Incontreremo continuamente il nuovo altro che pian piano emergerà dal caos e dalla confusione del mondo contemporaneo. Forse questo altro scaturirà dalla fusione tra le due opposte correnti della cultura moderna, quella che tende a globalizzare la nostra realtà e quella che conserva la nostra individualità e unicità. L’altro potrebbe essere il frutto e l’erede di queste due correnti.
Ecco perché dovremmo cercare di stabilire con lui un dialogo e un’intesa. L’esperienza acquisita mi ha insegnato che la benevolenza è l’unico atteggiamento capace di far vibrare nell’altro la corda dell’umanità.

PRESIDENTE. In assenza del presidente D’Ambriosio, trattenuto ad Ancona da impegni improcrastinabili, affidiamo le conclusioni di questa prima parte all’assessore Ugo Ascoli.

Ugo ASCOLI, Assessore Regione Marche. Il presidente, che manda i suoi saluti, è a Roma per impegni istituzionali e rientrerà nel pomeriggio ad Ancona, quindi proprio fisicamente non riesce ad essere qui.
Vorrei offrire un ragionamento, in tre minuti, ai “valorosi resistenti” che ancora calcano questa sala, dicendo che mi pare oggi sia emerso chiaramente come vi siano molti modi di affrontare il tema della pace e dei diritti umani. Facendo una riflessione generale su quello che è stato detto sono emerse almeno tre modalità con le quali tutti quelli che sono qui stanno operando per favorire la promozione di una cultura della pace. Innanzitutto mi pare che sia emersa una grande ricchezza di impegni concreti che la collettività regionale sta mettendo in campo. Abbiamo sentito dei progetti che sono stati finanziati dal Consiglio regionale, l’abbiamo sentito dalle testimonianze dirette di coloro che, appartenendo ad organizzazioni senza finalità di gruppo, sia religiose che laiche, lo stanno già facendo, l’abbiamo sentito anche negli oltre 40 progetti che la Giunta regionale ha in campo ormai a livello internazionale. Debbo dire che c’è stato anche uno scatto di qualità da questo punto di vista, perché per la prima volta il Ministero degli esteri ha autorizzato alcune Regioni a stringere un rapporto di cooperazione con un governo nazionale. Questo è successo recentemente: Marche, Umbria, Emilia Romagna e Toscana hanno firmato un progetto di cooperazione con il presidente Lula che ci ha accolto e ricevuto pochi giorni fa a Brasilia. E’ la prima volta che succede, c’è voluto più di un anno di negoziazione con il Ministero degli esteri per avere questa delega speciale che non aveva avuto mai alcuna altra Regione d’Italia. Quindi c’è un salto di qualità anche nella concretezza. Debbo però dire che c’è anche qualcosa di più, perché la Regione sta portando avanti progetti anche di una certa audacia: martedì prossimo in Giunta regionale porteremo una delibera che consentirà di intervenire concretamente in un ospedale a Gerusalemme est, per favorire lì l’accoglienza e la cura di bambini palestinesi che stanno al di là di questa immaginaria e tremenda frontiera che c’è a Gerusalemme. Quindi stiamo tentando di portare avanti dei discorsi nei punti più disastrati e più infuocati del mondo.
Anche un’altra direzione di marcia è emersa dal dibattito molto ricco di questa mattina, ed è l’idea di concretamente portare sempre più questo tema nella educazione, nelle scuole, nei nostri discorsi di enti locali o di forze sociali nelle Marche e non solo nelle Marche. Abbiamo sentito vari interventi, vari programmi e progetti, tutto quello che serve per aumentare la responsabilizzazione dell’opinione pubblica e per aumentare il livello di conoscenza a partire dalle scuole. Una terza linea di lavoro mi pare è emersa da questi nostri ragionamenti: quella di costruire — e già ci stiamo adoperando — programmi, progetti concreti nei paesi che più ne hanno bisogno, quindi il supporto anche economico, oltre che morale, alle organizzazioni di volontariato, alle Onlus, alle missioni religiose, a tutti quelli che già stanno concretamente operando. C’è quindi un fare, un dire, un appoggiare anche chi si sta già mettendo in campo da anni su questo versante.
Vorrei concludere questa mia riflessione offrendovi un quarto modo di lavorare per la pace, che forse non è emerso così nettamente nella discussione, ma che ritengo di grande rilievo. Noi stiamo accogliendo in questa regione circa 60.000 immigrati da paesi extracomunitari. Molte di queste persone vengono dagli stessi paesi nei quali, poi, andiamo a costruire progetti di cooperazione: penso ai paesi africani, penso ai paesi asiatici. Questo è un modo molto concreto, molto preciso di lavorare per la pace, perché molte volte le persone che vengono a lavorare nelle Marche sono persone dal cui lavoro dipende la vita di altre 3-4 persone, per ognuno di questi, nei paesi di origine. Pensiamo alle badanti, che mi sembra l’argomento assolutamente più simbolico di questa vicenda. Le badanti, questo termine che ormai è entrato nel gergo comune, sono perlopiù donne che vengono da paesi poveri o che hanno problemi di grave carenza di risorse. Vengono da sole, e qui c’è già un progetto migratorio totalmente diverso dal passato, in cui le donne seguivano i mariti, i fratelli o i padri nei processi migratori. Vengono, lavorano qua e con i soldi che guadagnano mantengono a casa i figli, mantengono a casa le madri, i genitori.
Proprio ieri una signora del Perù mi diceva che è in Italia da due anni e non è ancora riuscita a tornare in Perù, ma tornerà per le vacanze di Natale. Ha due bambine di 8 e 13 anni che dipendono da quello che lei guadagna ad Ancona e spera di portare queste bambine, fra un anno, in Italia, per farle stare almeno 4-5 anni, farle studiare e poi tornare in Perù. Sappiamo quanto sono dolorosi questi processi migratori. Tutti i processi migratori partono come processi provvisori, nessun emigrante dice che vuol partire per sempre, sappiamo però dalla storia italiana, marchigiana quante volte questa provvisorietà si trasforma in tempo infinito e se mai si riesce a tornare a casa con la pensione che speriamo tutti possano guadagnare in questo paese fra 20-30 anni, quando si va nell’età del riposo.
Aiutare l’integrazione di queste persone, aiutare a mantenere nella legalità queste badanti, corrispondere loro un salario vero consente di far vivere nei paesi di origine 3-4 persone per ogni badante. Questo è molto concreto e molto preciso, non è niente retorico: è quello che stiamo facendo e dovremmo fare sempre di più.
Sono tanti i modi per offrire solidarietà concreta, precisa. Pensate che se avete a casa una signora che vi aiuta, che viene dal Perù, dalla Tunisia o dal Senegal, quello che voi le date serve a mantenere altre 3-4 persone in quei paesi. Credo quindi che la concretezza non ci debba mai abbandonare. E’ bene fare progetti, è bene costruire gli strumenti più avanzati, però è bene anche capire che nonostante il senso di scoramento che ci prende quando leggiamo le cifre sulle morti per fame, per bisogno o per malattia nel mondo, possiamo fare molte cose, lo possiamo fare come istituzioni, lo possiamo fare come persone.
Con questo augurio credo che possiamo concludere questa nostra prima giornata di riflessione.

PRESIDENTE. Ricordo l’impegno preso dal Consiglio in precedenza: quello di dedicare, alla fine, un minuto di raccoglimento rivolto a quei bambini che nel frattempo, come diceva il presidente della Provincia, sono morti per malnutrizione durante le fasi di questo Consiglio regionale, ma soprattutto anche per rinnovare il nostro impegno nei confronti dell’affermazione dei diritti umani, della libertà e naturalmente della pace. Vi invito ad osservare un minuto di silenzio.

(Il Consiglio osserva un minuto di silenzio)

Vi ringrazio. La seduta è tolta.


La seduta termina alle 14,10