Resoconto seduta n. 35 del 28/03/2001
RESOCONTO INTEGRALE

SEDUTA DI MERCOLEDI' 28 MARZO 2001
PRESIDENZA DELPRESIDENTE LUIGI MINARDI

La seduta inizia alle 10,40

Approvazione verbale

PRESIDENTE. Ove non vi siano obiezioni do per letto, ai sensi dell’art. 29 del regolamento interno, il processo verbale della seduta n. 34 del 14 marzo 2001.

(E’ approvato)



Proposte di atto amministrativo
(Annuncio e assegnazione)


PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti proposte di atto amministrativo:
— n. 44 in data 19/03/01, ad iniziativa della Giunta regionale: «L.R. 45/98. Modifica dello schema tipo del contratto di servizio - Programma triennale del TPL di cui alla delibera del Consiglio regionale n. 301 del 29.2.2000 e successive modificazioni», assegnata alla IV Commissione in sede referente;
— n. 45 in data 19/03/01, ad iniziativa della Giunta regionale: «Art. 53 dello Statuto regionale e art. 38 comma 6 della L.R. 42/1988, come sostituito dall’art. l2, comma 3, della L.R. 54/1997: assunzione a tempo determinato, per le esigenze del servizio professionale e problemi del lavoro del dott. Danilo Marchionni», assegnata alla II Commissione in sede referente;
— n. 46 in data 20/03/01, ad iniziativa della Giunta regionale: «Piano pluriennale di attività e di spesa 2001-2003, art. 6 legge regionale 46/92», assegnata alla II commissione in sede referente e alle Commissioni I-III-IV-V-VI, ai sensi dell'art. 70 del Regolamento interno.



Mozioni
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE. Sono state, presentate le seguenti mozioni:
— n. 102 dei consiglieri Luchetti, Viventi, Massi, Benatti, Moruzzi, Amagliani, Silenzi, Giannotti, Ciccioli, Rocchi, e Giuseppe Ricci: «Applicazione della legge per il trapianto di organi»;
— n. 103 del consigliere Ceroni: «Direttamente a casa i risultati delle analisi mediche e i referti dei raggi X»;
— n. 104 del consigliere Novelli: «Attuazione della legge regionale n.28/1999».



Leggi regionali restituite vistate
dal commissario di Governo

PRESIDENTE. Il commissario del Governo nella regione Marche ha restituito vistate le seguenti leggi regionali:
— «Modifiche alla legge regionale 28/10/1991, n.33. Interventi e riqualificazione dell'offerta turistica regionale»;
— «Modifica all'articolo 5 della legge regionale 29 dicembre 1997, n.75. Disciplina degli atti e delle procedure della programmazione e degli interventi finanziari regionali nei settori delle attività e dei beni culturali»;
— «Modificazioni ed integrazioni della legge regionale 3 marzo 1997, n.20 concernente: norme per l'organizzazione e la gestione dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche».



Congedi

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i consiglieri Trenta, Mollaroli, Martoni e gli assessori Ottaviani e Mattei.



Comunicazioni della Giunta regionale
Interrogazione (Svolgimento): Problemi relativi ai prodotti agricoli» Viventi (155)
Interpellanza (Svolgimento): «Situazione degli interventi relativi al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie» Giannotti, Brini, Ceroni, Cesaroni, Favia, Grandinetti e Trenta (14)
Mozioni (Discussione):
«Piano di sviluppo rurale 2000-2006» Viventi (16)
«Riduzione del costo dei carburanti per l'agricoltura» Cesaroni (33)
«Sostegno dell'agricoltura regionale» Ciccioli, Castelli, Gasperi, Novelli, Pistarelli e Romagnoli (72)
«Sostegno piattaforma Coldiretti» Giuseppe Ricci (73)
«Problematiche dell'agricoltura marchigiana» Avenali (78)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le comunicazioni della Giunta regionale in materia di agricoltura. Ha la parola il relatore, assessore Agostini.

LUCIANO AGOSTINI. Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta, colleghi consiglieri, è motivo di grande soddisfazione per me introdurre il primo punto all’o.d.g. di questo Consiglio regionale che abbiamo promosso monotematico e sull’agricoltura. Ringrazio quanti lo hanno voluto, Presidente della Giunta, Presidente del Consiglio, presidenti dei gruppi consiliari e tutti i consiglieri per aver focalizzato l’attenzione su un settore economico che oggi attraversa un momento di eccezionale vivacità e, se vogliamo, anche di grande difficoltà.
E’ ovvio che non considero quello di oggi un momento di arrivo o di puro e semplice confronto, anche se questo non rappresenterebbe comunque un modo superficiale di approcciare il problema, ma lo considero piuttosto un punto di partenza attraverso il quale lanciamo un percorso che dovrà vedere le forze vive del settore e non, confrontarsi, discutere, e trovare soluzioni che debbono approdare entro un anno alla seconda conferenza agricola regionale nella quale presenteremo il piano agricolo alimentare.
Apriamo quindi oggi qui, nella massima sede istituzionale della Regione, un percorso che prevederà prima della seconda conferenza agraria, altri momenti significativi di confronto sul territorio, siano essi specifici della produzione, o di carattere metodologico, e ancora di riassetto istituzionale, tale da rendere partecipato e sussidiario lo strumento di programmazione finale.
E’ evidente che la partecipazione ed il confronto territoriale è un arricchimento indispensabile, ma questo non sostituirà, anzi sarà elemento di arricchimento ulteriore di quel tavolo della concertazione che fino ad oggi ha dato grandi risultati e che costituirà l’asse portante del percorso che oggi iniziamo.
La concertazione è lo strumento assunto alla base dell’azione di questo Governo regionale e sarà ancora più efficace in relazione a questo strumento di programmazione, per questo dirò alle associazione di categoria, alle centrali cooperative, ai sindacati ognuno con il loro peso, la loro storia i loro progetti, che la loro funzione oggi più che mai è indispensabile.
Il settore primario dell’economia è stato per anni dimenticato, quasi trascurato, relegato in un ruolo marginale perché lo sviluppo dipendeva da settori che pensavano potessero fare a meno dell'agricoltura. Così non è stato, anzi, in tutta la sua drammaticità verifichiamo quanto insensata sia stata questa idea, quante storture siano nate nei modelli di sviluppo a causa di questa idea. Oggi sappiamo che non è più così, che non si può separare dallo sviluppo l'agricoltura, che mette radici solide e estende la propria sfera di influenza su concetti e spazi più ampi.
Infatti, vorrei riprendere lo slogan proclamato nella conferenza europea di Cork sullo sviluppo rurale che sintetizza bene questo concetto e cioè che non c'è agricoltura senza sviluppo rurale ma non c'è sviluppo rurale senza agricoltura. Tra l'altro non possiamo dimenticare un'altra importante verità: che pur essendo l'agricoltura in un momento di grande pressione come mai era avvenuto in precedenza, la filosofia del sostegno al settore è messa in discussione in modo rigoroso. La mondializzazione, la globalizzazione dell'economia, così come l'allargamento ad est dell'Europa hanno oggettivamente fatto saltare vecchi schemi, impostazioni obsolete e ridato dinamicità al settore.
L'agricoltura è inserita a pieno titolo nella fase di globalizzazione dei mercati e dell'economia planetaria, le politiche protezionistiche tendono progressivamente a cedere e la stessa PAC, che pure ha avuto una funzione importante soprattutto negli ultimi anni, quando il nostro Paese ha sviluppato una contrattazione forte, non è più rispondente alle necessità attuali. Non si crea sviluppo in questo settore sostenendo il prezzo del prodotto, si deve rapidamente passare, del resto così come si sta facendo, da una politica dell'assistenza a quella dell'incentivo. Basta “coltivare il contributo” ma sostegno all'impresa ed al settore per renderlo competitivo. Ecco perché penso che la prevista revisione a metà percorso della PAC, anche alla luce delle recenti emergenze sanitarie ed alimentari, deve diventare occasione per un ripensamento più generale delle politiche di sostegno, che fermarsi alla sola analisi di compatibilità finanziaria.
La fase che sta attraversando l’agricoltura, l’agro-alimentare e di riflesso le aree rurali è segnata da tante interessanti novità. La più evidente e recente, anche a seguito dei casi di “mucca pazza” e dell’afta epizootica, è quella di una eccezionale “visibilità” del settore in tutta l’Europa. Non di rado le risposte che il cittadino ottiene sono superficiali e poco documentate alla giusta ricerca della qualità. Sono offerte facili scorciatoie che non rispondono ai problemi di fondo e, approfittando dell’allarme, mirano ad obiettivi opportunistici e speculativi. Occorre quindi combattere decisamente le semplificazioni.
Ma la visibilità apre anche nuove prospettive per il settore, che consentono di aspettarsi anche in tempi relativamente brevi cambiamenti che avrebbero potuto apparire impossibili se non in tempi lunghi e a seguito di serie interminabili di aggiustamenti.
Una cosa è certa: l’Italia e le Marche (agricoltori, contribuenti, consumatori, le aree rurali in complesso) non hanno certamente guadagnato con la vecchia PAC. Il “nuovo modello di agricoltura europeo” e una connessa politica per la multifunzionalità invece esalterebbero le peculiarità dell’agricoltura e della ruralità italiana, ma non ci si può arrestare all’enunciazione: occorre partecipare alla costruzione di una nuova politica di vero sviluppo rurale e per un’agricoltura polifunzionale in Europa, in Italia e nelle Marche.
Per delineare un quadro di sintesi dell’agricoltura marchigiana possiamo utilizzare alcuni fra i dati più significativi del Rapporto 2000 sul sistema agricolo e alimentare delle Marche, realizzato da dipartimento di economia dell’università di Ancona su incarico della Regione e di Unioncamere.
La superficie agricola utilizzata nelle Marche rappresenta il 3,7% del totale nazionale. Lo sfruttamento agricolo risulta elevato, riguarda il 75% dei terreni aziendali ed è la coltivazione dei seminativi a predominare. Dal 1993 è in diminuzione la componente dei boschi e pioppeti, cioè quella forestale, come la riduzione nel tempo di pascoli e prati permanenti è collegata alla contrazione del patrimonio zootecnico, in particolare di quello bovino. Tuttavia l’utilizzo di queste risorse appare stabilizzata negli anni, attorno ad una quota tra il 7 e l’8%.
Vorrei ancora sottolineare un paio di aspetti significativi quanto alla composizione della forza lavoro agricola: gli anni ’90 sembrano caratterizzati, pur all’interno di una contrazione numerica sostanzialmente in linea – anche se non per questo meno preoccupante – con il dato nazionale, da un certo ricambio generazionale. Non sufficiente, certo ma egualmente significativo: a fronte dell’invecchiamento degli agricoltori anziani (sopra i 60 anni), la cui percentuale passa dal 12,8% del 1990 al 17,2% del ’96, i conduttori di aziende al di sotto dei 45 anni passano dal 12,8% iniziale ad oltre il 17% nel 1996. Crolla invece il dato del lavoro dipendente sul totale, a fronte di quello autonomo che diventa assolutamente predominante con l’85%. Al tempo stesso diminuiscono di poco i conduttori a tempo parziale che, dopo essere cresciuti particolarmente negli anni precedenti rispetto a quanto avvenuto in altre regioni, dal 1993 denotano la contrazione citata.
Aprire una riflessione sul rapporto esistente, o su quello che vorremmo esistesse, nelle Marche, tra il processo espansivo del federalismo e le politiche di sostegno e di qualificazione del settore primario, suggerisce in premessa qualche considerazione di carattere generale.
Si tratta naturalmente di considerazioni avanzate allo scopo di favorire la discussione. In primo luogo, si potrebbe affermare che le istituzioni e, più in generale, tutte le forze di progresso in esse contenute hanno interesse a promuovere una sorta di “nuovo contratto sociale, in cui ciascun diritto corrisponda ad una precisa responsabilità”
In altri termini, si tratterebbe di “vincolare ai principi cardine della solidarietà sociale e della giustizia sociale le tre aree chiave del potere: governo, economia, comunità della società civile”.
Non a caso, una priorità fondamentale delle società contemporanee è costituita proprio dalla esigenza di “ricostruzione delle istituzioni pubbliche” e della fiducia dei cittadini. Sappiamo, e ci ripetiamo spesso, che la globalizzazione interviene su di una molteplicità di processi. Tra le altre cose, possiamo affermare che “nell’economia della conoscenza, i confini tra industrie o comparti industriali, che normalmente erano separati e distinti, sono sempre più permeabili”
Questo ovviamente vale anche per l’agricoltura: l’esperienza empirica, suffragata da importanti ricerche, dimostra che società e regioni possono passare da un’economia agraria ad un’economia della conoscenza, che ingloba anche quella agraria, senza passare attraverso una fase di industrializzazione di vecchio stampo.
Il processo in cui siamo immersi ci costringe a confrontarci con problemi di enorme complessità, da cui scaturisce anche l'esigenza di ridefinire, almeno in parte, le nostre politiche.
Oggi è il livello comunitario che decide e le responsabilità politiche più rilevanti ricadono sui governi nazionali. Ecco perché occorre che il Paese venga rafforzato da un ruolo più autonomo, e quindi più responsabile e solidale, delle Regioni.
Entrando nel merito delle politiche agricole dell’Unione europea, è il caso di ricordare che nel 1998 i mercati internazionali dei prodotti agricoli si sono caratterizzati per diffuso incremento dell’offerta; riduzione dei prezzi internazionali; accumulo di scorte; rallentamento del volume degli scambi.
Nel 1999, a fronte di un incremento mondiale delle produzioni, l’Europa continua a presentarsi in diminuzione. Già il 1998 si era caratterizzato per una certa “pesantezza” dei mercati comunitari interni: crescita dei volumi di produzione; consumi sostanzialmente stazionari; generalizzata flessione dei prezzi; accumulo di scorte.
Si sono aggiunte turbative peculiari, quali la BSE, la peste suina, le turbolenze finanziarie, in particolare quelle che hanno investito Asia e Russia.
Il 1999 ha visto sostanzialmente proseguire le tendenze dell’anno precedente. Nei quindici Paesi i prezzi ricevuti dagli agricoltori sono diminuiti in termini reali di oltre il 4% in ambedue gli anni, accentuando la tendenza del biennio precedente. E’ in questo scenario che si determina la riforma della PAC: è stato il momento di Agenda 2000 e della nuova programmazione dei fondi strutturali per gli anni 2000-2006.
I vincoli che Agenda 2000 individua per la PAC riguardano essenzialmente le compatibilità con gli accordi commerciali internazionali (OCM). Sul piano interno, si ribadiscono i vincoli di bilancio e la volontà di estendere anche alla politica dei mercati i principi del decentramento e della sussidiarietà.
Gli elementi innovativi, che pure ci sono, lasciano irrisolte questioni di rilievo, ad iniziare dalla “povertà” della dimensione finanziaria. Se da una parte è positivo che il complesso della manovra “resista” a fronte della pesantezza del dibattito interno sul bilancio dell’Unione, dall’altra le innovazioni che si vorrebbero promuovere richiederebbero maggiori livelli di intervento.
Spicca soprattutto un dato: l’efficacia dei provvedimenti dipenderà essenzialmente dall’efficacia attuativa degli Stati membri e in particolare delle Regioni.
Sussidiarietà e decentramento appaiono dunque le leve essenziali da gestire, all’interno della UE come dell’Italia.
Con l’ultimo riordino dei Ministeri si è pervenuti all’attuale assetto del MIPAF e alla sua articolazione per dipartimenti. Le Regioni si sono viste attribuite funzioni più coerenti, quali l’avvio degli strumenti ricompresi nel concetto di “programmazione negoziata”. Dagli accordi di programma introdotti con la L.142/90 alle novità della L. 662/96 che, oltre alla rivisitazione degli accordi di programma, avvia i patti territoriali, i contratti di programma ed i contratti di area.
Sappiamo che la novità maggiore di questi strumenti consiste nell’approccio di connessione, in fase attuativa, con il sistema delle autonomie locali e con quello economico-produttivo del territorio.
Il metodo tradizionale dell’approccio settoriale delle passate politiche agricole è così nettamente modificato. Ed ora la prospettiva della gestione di Agenda 2000 amplia il decentramento di funzioni dallo Stato verso le Regioni.
Gli assi portanti degli attuali PSR – il miglioramento della competitività delle filiere, lo sviluppo dei territori rurali e la multifunzionalità dell’agricoltura, le attività di supporto orizzontale – confermano la progressione degli orientamenti suddetti, rafforzati dal cosiddetto “contratto base”, lo strumento unico di accesso ai benefici pubblici da parte dei fruitori finali, singoli agricoltori e imprese.
Perché questi riferimenti, che possono sembrare lontani dalla nostra dimensione? La risposta è relativamente semplice.
Se il decentramento e le misure di federalismo che dobbiamo e vogliamo attuare sono anche solo in parte legati ai fenomeni qui richiamati, allora è evidente che l'attuazione della L.R. 24/98 deve transitare attraverso un dibattito nuovo coinvolgente l'Anci, l'UPI, le amministrazioni provinciali, ed anche dipendenti dei servizi decentrati, che restano comunque il terminale più diretto del rapporto con l'utente finale, che è l'imprenditore agricolo: utente per il quale l'azione complessiva deve risultare alla fine del percorso comunque più puntuale, più efficace.
Fare dell'impresa l'asse portante di una nuova politica agricola, dare centralità ad una nuova e moderna concezione dell'impresa, dalla sua capacità di essere e restare con forza sul mercato, anche integrandosi con le altre attività di produzione e di servizio, si può infatti costruire la svolta decisiva per creare ricchezza nel settore economico primario. Tutto questo è principio ed insieme valore, tale da concentrare la nostra attenzione nella qualità dei servizi che vogliamo creare all'impresa.
Le imprese oggi vogliono e debbono svilupparsi e affrontare a viso aperto il mercato, l'impresa marginale o anche assistita vuole uscire dal guscio in cui è rintanata e dove comunque sarebbe destinata al soffocamento.
Dobbiamo dunque ripensare anche ad una nuova cultura che non vuole l'impresa agricola come "altra impresa", ma come fulcro centrale e vitale del settore economico.
I rischi sono certamente tanti, una continuazione e accrescimento delle rendite fondiarie, una ricollocazione in chiave moderna dell'agrario che non vive della prosperità della propria azienda, così come una interpretazione in chiave moderna del latifondo, sono rischi che vogliamo correre dentro al campo della competizione ma che nello stesso tempo vogliamo fermamente combattere.
Capisco e condivido l'esigenza di una gestione equilibrata e graduale dei processi di innovazione, ma la direzione di marcia deve essere chiara, gradualità all'interno di una riforma profonda della politica agricola che sia di effettivo sostegno alla crescita ed allo sviluppo di un moderno sistema di imprese in agricoltura.
Dentro questo quadro noi dobbiamo collocare lo sviluppo dell'impresa agricola marchigiana, non assistendola né selezionando solo quelle in grado di essere già competitive ma costruendo un modello che fa crescere nel suo complesso il sistema delle piccole e medie imprese marchigiane.
Già in altri settori economici la nostra regione ha saputo creare ricchezza dando valore all'insieme dell'impresa, dobbiamo mutuarlo con le ovvie peculiarità che rendono questo settore oggi più dinamico, ma costruendo una rete ed un sistema che cresce in maniera equilibrata. Noi, il pubblico, la Regione deve costruire le regole e le condizioni perché ciò avvenga, questo non vuole in alcun modo significare che vogliamo noi costruire i modelli di impresa, ma al contrario creare le condizioni e le occasioni perché ogni impresa marchigiana abbia la possibilità di costruire un proprio progetto di impresa che gli dia prospettiva di sviluppo. Non dimentico, anzi sostengo in primo luogo per il nostro settore il valore dell'impresa cooperativa, alla funzione storica che ha svolto nella nostra regione e le potenzialità di espansione che essa ha dentro ad un sistema che cresce in maniera nuova ed equilibrata.
Dentro questo non possiamo non porci una nuova qualità dei servizi, questo non significa cancellare o mortificare quelli oggi esistenti, dall'assistenza tecnica a quelli forniti dalle associazioni di produttori e dalle associazioni degli allevatori ma abbiamo il dovere di ricostruire un progetto ove i servizi siano adeguati e vicini alle imprese, tali da fare quel salto di qualità di cui abbiamo bisogno. E’ quindi fondamentale che le politiche che la Regione Marche mette in campo diano un effettivo sostegno e risorse a chi si innesta in una logica di impresa e a chi determina qualità sempre più alta della produzione e lo sviluppo equilibrato ed ecosostenibile nelle campagne, e non a chi vegeta sotto il comodo ombrello dell’assistenzialismo e della rendita fondiaria.
Ecco perché abbiamo salutato con soddisfazione il varo dal parte del Governo della nuova legge di orientamento e speriamo anche dei suoi decreti attuativi, perché ci spinge su un orizzonte più avanzato nella modernizzazione e del rinnovamento dell’impresa e dell’intero settore.
Nell’ultima legislatura nelle Marche si è lavorato molto sul fronte della qualità, che è la nuova frontiera per l’agricoltura e, per la nostra regione è necessità inderogabile vista anche l’orografia del nostro territorio. Molto si è fatto nel campo dell’agricoltura biologica, nella tipicità del prodotti, nelle nicchie. Su questo abbiamo fatto passi da gigante assumendola come cultura di governo e spronando le imprese ad investire in questa direzione, tanto che oggi possiamo definirci una regione che nel panorama italiano è tra le più avanzate nel campo biologico, sulla tipicità e nel basso impatto ambientale.
Molto dobbiamo ancora fare così come abbiamo scritto nel patto per lo sviluppo. Dobbiamo creare il sistema qualità, dobbiamo cioè trovare il modo affinché, attraverso il prodotto di qualità si ricavi valore aggiunto tale da creare nuove e più alte opportunità per le imprese.
Il biologico, la tipicità, il basso impatto ambientale non è più tema per pochi nella nostra regione ma è entrato nella cultura delle imprese agricole e dei consumatori. Qualità significa anche territorio, salvaguardia di esso, c’è un legame imprescindibile: non si produce qualità se non si tutela il territorio se non lo si salvaguardia.
La tutela dell’ambiente è un dovere prioritario e l’agricoltura può giocare un ruolo fondamentale per un’effettiva difesa e valorizzazione del territorio. D’altra parte, oggi le aziende agricole sono chiamate a nuove responsabilità di fronte alla società. Alla domanda di alimenti si aggiungono l’occupazione, la qualità e la sicurezza alimentare, un equilibrato sviluppo territoriale.
L’agricoltura multifunzionale è, quindi, la risposta a queste nuove aspettative della società. Ad essa corrispondono imprese che, contemporaneamente, contribuiscono alla produzione alimentare, ma anche alla protezione e alla riproduzione delle risorse naturali, all’occupazione e ad uno sviluppo equilibrato del territorio.
Anche per il mercato è giunto il momento di ri-orientarsi verso la qualità e verso nuove funzioni di servizio.
Qui sentiamo che il compito delle istituzioni, della ricerca e della formazione sia cruciale non solo per fornire soluzioni, ma anche per alimentare un dibattito che guardi ad una prospettiva di lungo-medio periodo: su quale agricoltura di qualità e su quale ruralità, non dobbiamo far rimanere inevasa questa domanda che disorienterebbe il consumatore, il cittadino, lo stesso imprenditore agricolo.
Questo richiede nuove conoscenze, nuovi livelli formativi, e non diciamo una bestialità se affermiamo che anche in questo settore occorre una politica rivolta alla formazione professionale, ed in questo senso vorremmo attrezzarci anche in un confronto con la comunità scientifica, dove l’Università si incontra con il territorio, e dove l’iniziativa locale si intreccia con quella a dimensione nazionale ed europea.
Lavorare su un sistema di qualità così come noi abbiamo fatto e stiamo facendo significa mettere il più alto valore aggiunto di qualità e professionalità nella prima fase del processo, certificarlo e contrattualizzarlo; significa creare enti terzi nella certificazione e nel controllo che sappiano determinare le regole, per non correre il rischio di inflazionare la certificazione che perderebbe efficacia nelle garanzie per il consumatore; significa quindi proporsi come garante verso il mercato e verso il cittadino.
Ma qualità significa anche costruire un processo di valorizzazione e commercializzazione dei prodotti diverso dal passato. La valorizzazione e la promozione non possono più essere considerate l’ultimo anello della filiera, quasi residuale come se la nostra impresa ne possa quasi fare a meno. Credo invece che dobbiamo invertire questa tendenza riprendere dentro al processo produttivo la fase della promozione, costruire progetti di internazionalizzazione come processo indispensabile.
Mi rendo altresì conto che per fare tutto ciò abbiamo bisogno anche di nuovi strumenti più agili della pur professionale struttura regionale, più veloci nel conquistare il mercato, più preparati a capire le variazioni. Non voglio certo addentrarmi in un settore che non mi appartiene e di difficile analisi quale quello commerciale, ma certo è che il settore alimentare, il suo mercato non può più essere deciso dall’alto verso il basso, cioè dal commerciale soprattutto nella grande distribuzione verso la produzione, ma dobbiamo immettere fattori che consentano di far ripartire la domanda dal processo produttivo che influenzi e dia tendenza al mercato.
Il nostro modello di qualità così come è stato impostato non può prevedere l’utilizzo degli OGM su cui volutamente non mi soffermo perché questo Consiglio regionale più volte se ne è occupato ed ha approvato alcune risoluzioni che condivido e che non riprendo.
Anche se di fronte ad uno scenario di competizione, potenzialmente incontrollato dalle biotecnologie, occorre individuare un ruolo per il nostro Paese. Vi è l'esigenza di costruire una via italiana che porti allo sviluppo delle biotecnologie per superare gli attuali ritardi culturali e scientifici.
Questo, ben sapendo che la ricerca per sua natura ha bisogno di autonomia e libertà e che tali scelte non possono essere effettuate da pochi nel libero arbitrio e fuori dal governo dell'interesse generale. Il nostro impegno è conciliare la libertà e l'autonomia della ricerca con l'interesse generale, evitando il ritorno a posizioni di arretratezza culturale in settori strategici.
La condivisione degli obiettivi della ricerca da parte dell'opinione pubblica è allora fondamentale per lo sviluppo del settore delle biotecnologie.
L’altra grande sfida a cui dobbiamo corrispondere è quella della multifunzionalità dell’impresa agricola, la sua intersettorialità e cioè come mettiamo in relazione il settore agricolo con altri settori economici come il turismo e l’artigianato, in particolare quello tipico. Scommettere sul territorio, costruire condizioni affinché le imprese agricole possano svolgere attività diverse dalle produzioni può dare quel valore aggiunto che molte aziende cercano soprattutto nei territori interni. In questo discorso grande rilievo assume l’agriturismo ed il turismo rurale.
L’agriturismo nelle Marche ha raggiunto in questi ultimi anni significativi risultati, soprattutto in termini qualitativi, mostrando gli esiti dell’attenzione mantenuta da parte dell’Amministrazione e dei fondi investiti nel settore per un totale di 278 progetti finanziati con un contributo pubblico di £. 26.200.000.000, per un investimento totale di £. 72.157.206.151.
L’intenzione dell’Amministrazione più volte ribadita, è quella di sviluppare l’intero territorio regionale valorizzando le molteplici eccellenze presenti, non solo in termini di patrimonio naturale, storico e architettonico, ma anche di capitale umano e di ricchezza di idee e proposte.
A questo punto è utile ricordare uno degli impegni da attivare in tempi rapidissimi: la promozione del territorio, delle sue migliori strutture e delle produzioni di pregio.
Una promozione seria e di valore indirizzata a premiare esclusivamente i soggetti che avranno scelto la qualità prima richiamata, come modello di riferimento.
Quali sono gli strumenti che mettiamo in campo per realizzare questi obiettivi. Il principale è sicuramente il PSR che utilizza i fondi Feoga e costruisce il suo intervento sui principi di Agenda 2000. La sua approvazione, da parte della Commissione Ue, la pubblicazione dei bandi prevista nei prossimi giorni, rendono finalmente praticabili nuove prospettive ed obiettivi per il settore agricolo marchigiano.
Abbiamo scelto di costruirlo cogliendo le peculiarità del settore nella nostra regione. Non si può non dare atto e merito a chi ha lavorato prima di me nel ruolo politico, così come dobbiamo ringraziare la professionalità e la passione che la struttura dell'assessorato ha messo nella realizzazione di questo importante strumento. Il PSR pur in mancanza di uno strumento di programmazione regionale ha affrontato i grandi temi che rappresentano i tre assi del piano.
Nel primo vengono messe in risalto l'impresa ed i suoi investimenti comprese le misure in favore dei giovani agricoltori e del prepensionamento che agevola il ricambio generazionale, che per troppo tempo ha rappresentato un problema insormontabile per il settore agricolo. Così come la misura assolutamente innovativa dell'ingegneria finanziaria apre l'impresa al mondo del credito che per troppo tempo ha visto l'agricoltura solo come settore da attingere e non come settore di sviluppo, ma anche qui dobbiamo recuperare spendendo ad esempio il valore della solvibilità che è una peculiarità tipica solo delle imprese agricole.
Nel secondo le misure agroambientali, la qualità, la salvaguardia del territorio, che sposta l'attenzione sulle produzioni biologiche, di basso impatto ambientale, delle tipicità che danno il senso di come concretamente vogliamo costruire e raggiungere obiettivi importanti e peculiari della nostra economia.
Così come il terzo asse sulla multifunzionalità che rappresenta una forte innovazione negli strumenti di intervento comunitario che questo governo regionale ha saputo prima costruire e poi contrattare con la Commissione Ue.
Anche la mole di finanziamenti è consistente: 870 miliardi di parte pubblica che ne attiveranno complessivamente 1.330. Con questo strumento principalmente dovremo saper affrontare e costruire il nuovo e il riaffermare il ruolo della concertazione così come abbiamo fatto per realizzare i bandi: ritengo sia la strada giusta. Tutti insieme, dunque: istituzioni, associazioni di categoria, rappresentanza più diffusa, ognuno nel proprio ruolo, ma insieme siamo chiamati a costruire un nuovo sistema imprenditoriale un più forte settore economico.
Altro strumento da non sottovalutare oltre quelli ordinari è senz'altro il Leader Plus il cui negoziato è stato appena avviato e momentaneamente registriamo il successo di essere tra il gruppo di Regioni che hanno il programma "ricevibile".
Il successo di questa edizione di Leader sarà legata, da un lato, alla capacità dei GAL di sviluppare un legame reale con il territorio ed una buona attività di animazione, alla rapidità di attivazione dei meccanismi di finanziamento, dall'altro dalla possibilità da parte della Regione di assicurare un'adeguata assistenza tecnica ai GAL.
L'iniziativa dispone di fondi abbastanza limitati e non può incidere in maniera significativa sulle strategie di crescita economica e sulle dinamiche occupazionali.
Ritengo che l'aspetto più positivo di Leader sia quello di avvicinare i territori lontani dai centri decisionali alla conoscenza dei meccanismi della pubblica amministrazione, soprattutto per quanto riguarda le procedure e l'accesso ai contributi a partecipazione comunitaria; sposta verso la "periferia" i referenti per le richieste di informazione, rendendo più capillare l'azione dei nostri servizi periferici.
Credo che si possa considerare come un'azione divulgativa ed esemplificativa: più sono i soggetti che conoscono il funzionamento delle politiche comunitarie, più facile e più completo sarà l'utilizzo dei fondi assegnati alle Marche.
Rimane comunque il valore degli interventi realizzati e da realizzare, preferibilmente sempre in forma complementare e di sostegno a quelli attivati con i mainstream.
Considerate le osservazioni pervenute dalla Commissione sul programma Leader Plus, e tenuto conto che probabilmente dopo il 2006 per le nostre aree rimarrà soltanto il sostegno a misure ambientali ed agroambientali, al turismo ed alla diversificazione, sarebbe opportuno indirizzare l'attività dei prossimi GAL in questa direzione per creare le condizioni idonee al miglior utilizzo delle risorse finanziarie future.
Contestualmente alla elaborazione del piano agricolo regionale dobbiamo far proseguire il lavoro già iniziato per la rivisitazione del quadro legislativo afferente l’intero settore agroalimentare, lavoro che confluisce nell’impegno di ordine più generale voluto dalla Giunta regionale , e in particolare dal Presidente, per la definizione di testi unici. Spero sia evidente che non si tratta di un lavoro di mera ripulitura tecnica ma di una vera e propria riflessione di ordine generale sul sistema delle leggi di spesa che ci interessano.
Affrontare in termini adeguati, e dunque anche con una legislazione che sia all’altezza, le nuove esigenze che ci apprestiamo a delineare con maggiore chiarezza significa ripensare complessivamente l’attuale sistema di agevolazioni ed interventi. E’ vero che la disponibilità delle risorse può essere un fattore condizionante ma è pur vero che un utilizzo più oculato, meglio finalizzato e dunque più efficace delle stesse è comunque possibile. In contemporanea con le diverse tappe di predisposizione della proposta di piano possiamo confrontarci con le rappresentanze sociali di settore e con le istituzioni territoriali, con le Province soprattutto, sulle scelte da privilegiare, sulle sinergie da cogliere, sulla valorizzazione insomma delle idee e dei progetti migliori che possiamo mettere in campo. Se questa è la strada da percorrere, cosa di cui io sono convinto, allora sapremo anche trovare i tempi ed i modi per traghettare consapevolmente da una filosofia di intervento all’altra, confidando nella migliore efficacia della nuova, penso che potremo aiutare meglio l’evoluzione qualitativa ed imprenditoriale dell’agroalimentare marchigiano.
La Regione Marche, per quanto attiene la montagna, si è dotata prima di una politica e poi di una normativa, all'altezza delle esigenze che queste aree esprimono, aree comunemente definite depresse ma che contengono notevoli potenzialità di sviluppo: mi riferisco alla Carta di Fonte Avellana e alla L.R. 35/97, attuativa della legge nazionale 97/94 sulla Montagna.
La Carta di Fonte Avellana (maggio '96), intanto introduce una metodologia, quella della concertazione fra la Regione, titolare della politica, le istituzioni tutte del territorio, Province, Comuni e Comunità montane e le forze sociali, che attraverso una firma, si sono impegnate su un progetto concreto e da verificare periodicamente.
E' un progetto che mira alla costruzione di "un programma di politica economica e sociale, che tende a promuovere, oltre che occupazione e redditi soddisfacenti, una nuova dimensione della realizzazione dell'uomo".
Richiamando l'esigenza di un recupero di attenzione e di "ascolto" del territorio appenninico, l'impegno è quello di promuovere e valorizzare le risorse endogene del territorio: risorse umane (i residenti), risorse imprenditoriali (i mestieri e le imprese locali), risorse istituzionali (i comuni e le comunità montane), risorse materiali (il suolo, i boschi, l'agricoltura, l'allevamento e la forestazione, il regime dei fiumi, il paesaggio), risorse culturali (beni culturali, paesi e borghi storici).
Promozione della silvicoltura, delle sistemazioni idraulico-forestali, dell'agricoltura, dell'allevamento, dello sviluppo sostenibile, attraverso le imprese agricole e cooperative del territorio, anche in collegamento funzionale fra loro, nella logica della multifunzionalità e sotto l'egida delle istituzioni locali e della Regione che, anche con il supporto del Cnel, ha istituito con la delibera del febbraio 2000, il tavolo dei firmatari della Carta.
Alla Carta ha fatto seguito nel 97 la Legge 35, che riprendendone i contenuti, impegna la Regione a farsi promotrice di un "Progetto Appennino" (art. 2), affida competenze e deleghe alle comunità montane, anticipando la stessa L.R. 24/98, e, attraverso la previsione del fondo regionale per la montagna (art. 22), rende concreta la collaborazione fra i vari servizi della Regione, al fine di programmare e coordinare le risorse ad essa destinate, sancisce, attraverso il titolo II "Attività socialmente utili", l'attenzione al mantenimento della residenza nelle aree montane, attraverso le attività economiche legate alla manutenzione e alla valorizzazione del territorio.
Per agevolare le Comunità montane nell'attivazione delle forme di gestione del patrimonio forestale, la Giunta regionale ha provveduto alla redazione dell'inventario dei boschi e della Carta forestale regionale, alla determinazione degli indirizzi per la redazione dei piani di gestione agricolo-forestali e al loro finanziamento.
L'inventario forestale e i piani di gestione, già realizzati dalla Regione il primo e dalle Comunità montane i secondi, costituiscono la base programmatica per gli investimenti previsti dal piano di sviluppo rurale e dal nuovo piano di settore.
Questo governo regionale ha operato affinché i contenuti del piano di sviluppo rurale e le linee del bilancio 2001, si muovessero in una logica di continuità, dando priorità ai programmi dei soggetti delegati e riconfermando, pur in carenza di risorse, il fondo regionale per la montagna.
Riteniamo che esistano oggi tutte le condizioni per un rilancio della politica regionale a favore della montagna, a partire dall'attuazione dei principi e delle direttive contenute nella legge di orientamento recentemente approvata dal Parlamento.
"L'individuazione dei presupposti per l'istituzione di distretti agroalimentari rurali, il sostegno e lo sviluppo economico dell'agricoltura, da promuovere anche attraverso il metodo della concertazione, assicurando la tutela della biodiversità, del patrimonio forestale e del paesaggio agrario e forestale, lo sviluppo dell'imprenditoria locale, il sostegno alla multifunzionalità dell'impresa agricola, la cura e la manutenzione dell'ambiente rurale, l'insediamento e la permanenza dei giovani, la previsione di apposite convenzioni con la pubblica amministrazione": sono tutti principi della nuova legge e per noi capitoli di un rinnovato impegno che ci sentiamo di assumere nei confronti della montagna e del territorio rurale.
Penso quindi siano mature le condizioni per svolgere una riflessione approfondita sul tema attraverso la convocazione di un nuovo forum sulla montagna che riprenda, aggiorni e rilanci i contenuti e gli impegni della Carta di Fonte Avellana.
Questa è la proposta che sottoporrò al tavolo della concertazione, da convocare in tempi brevi.
Potrebbe essere quella l'occasione per affrontare, senza tabù, la questione del rapporto tra le politiche per la montagna e le politiche per i parchi, le quali, in tante occasioni, corrono il rischio di apparire antagoniste.
I parchi e le aree protette, nella concezione accettata di motori dello sviluppo di un'area da tutelare, devono essere un'occasione di sviluppo per quelle aree: delle attività tradizionali, della crescita occupazionale, specie giovanile, nei settori nuovi dell'ambiente e della sua fruizione.
I n questo senso, pertanto, vanno promossi e sostenuti i progetti di rete, come ad esempio APE, che debbono rappresentare strumenti strategici di una precisa e forte politica dello sviluppo della montagna.
Una politica per la montagna deve esprimersi attraverso obiettivi unitari ed interventi sinergici perché "unici" sono i destinatari finali: la gente che vive in montagna e, sia pur in modo ed intensità diversi, in relazione alle specifiche attività professionali, si dedica e si impegna a preservare la vitalità di un territorio da curare, mantenere, tutelare e da valorizzare, nell'interesse di tutta la collettività.
Di questa politica è titolare la Regione che la costruisce in una logica di concertazione e la esercita con il principio della sussidiarietà, attraverso le istituzioni sul territorio, compresi i parchi.
In questo quadro vanno valorizzati i progetti ed il protagonismo dei soggetti pubblici e privati, compresi quelli delle organizzazioni che hanno a cuore i destini dell'ambiente, purché funzionali agli obiettivi generali.
Il panorama degli impegni che abbiamo delineato, e che tra l’altro tengono conto di alcuni elementi di dialogo e di confronto con le associazioni degli agricoltori, con le organizzazioni dei produttori, con altri soggetti sociali interessati all’evoluzione della filiera agroalimentare, richiede non solo una conferma ma anche un rafforzamento qualitativo ed un’apertura ulteriore della prassi di concertazione.
Vi sono specificità di cui non si può non tener conto, ed è il ruolo diretto, centrale, delle associazioni degli agricoltori, delle imprese agricole. Accanto a queste vi sono gli altri soggetti del mondo agroalimentare, direttamente ed indirettamente coinvolti: la cooperazione; le organizzazioni di prodotto; il sistema agroindustriale che abbiamo interesse a coinvolgere pienamente, se davvero vogliamo potenziare l’intera filiera; le rappresentanze sindacali dei lavoratori, interessate da un processo di trasformazione strutturale; voci anche degli ordini professionali più direttamente interessati al settore, del mondo della ricerca, del mondo accademico.
Nella chiarezza, e nell’impegno a considerare e rispettare la pluralità dei ruoli e delle diverse soggettività, crediamo possibile migliorare il quadro delle relazioni sociali, responsabilizzare maggiormente i nostri partners, individuare in maniera trasparente e responsabile le occasioni di consenso, che ci auguriamo nettamente prevalenti, ma anche quelle di dissenso, sicuramente preferibili ad unanimismi di facciata.
In altre parole, riteniamo possibile allargare le sedi del dialogo e della concertazione, ampliando con la necessaria modifica di legge, la composizione ed il ruolo della Consulta dell’economia e della programmazione agraria, facendone una sorta di “parlamentino” delle parti sociali, da consultare per le scelte programmatiche più importanti. Il cosiddetto “tavolo verde” potrebbe allora trovare o ritrovare una sua peculiarità tutta ancorata al ruolo delle associazioni professionali, mentre eventuali altre esigenze di dialogo potrebbero sempre trovare risposta in incontri appositi od in approfondimenti tematici, come può essere per l’agricoltura biologica, di cui contiamo di costituire entro pochi giorni l’apposita commissione consultiva.
L’imminente avvio operativo dell’Osservatorio agroalimentare, che vede nell’Inea, Istituto nazionale di economia agraria, il partner privilegiato della Regione, in grado anche di canalizzare gli apporti specialistici del mondo accademico ed universitario marchigiano, nonché le risorse conoscitive e statistiche prodotte tramite le associazioni professionali, può costituire una prima tappa concreta del calendario dei nostri impegni ed una occasione importante per mettere a fuoco questa nuova articolazione delle sedi di concertazione e dei suoi protagonisti.
La tutela alimentare, la salute dei cittadini assumono oggi per il comparto agricolo una valenza strategica, l’effetto BSE ha accentuato ed anticipato i termini della drammatizzazione la “mucca pazza” sta mettendo in ginocchio una parte consistente del settore agricolo e non solo, il nostro Paese vive oramai nell’emergenza da diversi mesi, l’incertezza sull’origine del morbo drammatizza ancora di più una situazione ancora pesante.
La situazione di difficoltà è vissuta in maniera ancora più negativa da una regione come le Marche che per prima negli anni scorsi ha tentato con successo iniziative di certificazione della carne di qualità che hanno concretamente costruito quel rapporto tra chi produce e chi consuma. Ecco perché, quando anche nel nostro allevamento di San Severino Marche si è riscontrato un caso di BSE le sensazioni di sconforto sono state maggiori e più intense. Abbiamo allora affrontato il fenomeno dividendo in due distinte fasi il fenomeno stesso: l’emergenza ed un progetto di rilancio.
Nell’emergenza, la cosa che abbiamo affrontato con determinazione è stata quella dei servizi per lo smaltimento delle carcasse e del materiale a rischio, assicurando garanzie pubbliche in un servizio complesso in tutte le sue fasi. Abbiamo stanziato risorse regionali proprie per garantire un’integrazione alla legge 49. Proprio ieri la Giunta regionale ha assunto la delibera che organizza il servizio che rimborsa gli allevatori che si sono assunti in pieno l’onere dello smaltimento da ottobre ad oggi. Siamo però consapevoli che il fenomeno BSE si sconfigge solo con provvedimenti strutturali che garantiscano un progetto di rilancio, così come fu per il vino al metanolo. Così come ci sembra sbagliato fare come altre Regioni hanno scelto di fare, e cioè indennizzare con una percentuale di rimborso gli animali abbattuti in caso di riscontro positivo di BSE. Anche qui noi abbiamo scelto di investire nell'impresa, nella sua possibilità di rilancio utilizzando strumenti legislativi come la L.R. 56/97.
Dobbiamo ripartire dalla tracciabilità e in questo senso si sta rapidamente completando l'anagrafe zootecnica che ci metterà nelle condizioni di ritornare alla linea vacca-vitello e di allargare il campo della certificazione di qualità.
Questa è la strada su cui marciare in maniera decisa per questo abbiamo previsto interventi nel PSR per il ritorno al prato-pascolo ed alle coltivazioni di colture ad alto contenuto proteico, così come abbiamo previsto di rifinanziare le bilance che garantiscono la certificazione. Il controllo e l'ente certificatore dovranno essere strutture diverse e staccate dal processo produttivo, tali da garantire il consumatore. Queste saranno le linee guida del piano zootecnico su cui stiamo lavorando, anche prevedendo incentivi alle pubbliche amministrazioni perché per prime dotino le loro mense di carne di qualità allevata sulla linea vacca-vitello e sulla certificazione e di prodotti biologici e di qualità. Questa penso debba essere la risposta al fenomeno BSE. Qualsiasi intervento finalizzato solo all'emergenza sarebbe inutile e velleitario.
Siamo consapevoli della gravità della situazione, sappiamo che non è facile lavorare con serenità, con la legittima pressione di tutti, ma siamo altresì convinti che questo Paese e questa regione hanno affrontato altri momenti difficili, anche questa volta ne usciremo con dignità e nuovo vigore.

PRESIDENTE. Passiamo alla presentazione delle mozioni. Interverranno, nell’ordine, i consiglieri Viventi, Cesaroni, Gasperi, Giuseppe Ricci e Avenali, dopodiché apriremo il dibattito.
Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Signor Presidente, avevo presentato su questo argomento mozioni, interpellanze ecc., ma credo che le stesse, almeno una per quanto riguarda il piano di sviluppo rurale è ampiamente superata nei suoi contenuti. Per quanto riguarda l’altra sui prodotti agricoli, “mucca pazza” ecc. Credo che siamo veramente in argomento.
Contrariamente al mio solito ho scritto anche degli appunti, perché la materia che trattiamo questa mattina è complessa e richiede un’attenzione particolare, se vogliamo fare una seduta seria.
L’intervento dell’assessore Agostini ha toccato tantissimi punti che vorrei riprendere e, al termine dell’intervento, concretizzare con alcune proposte operative, altrimenti rischiamo di fare un grande dibattito, di parlare di tante belle cose, uscendo poi da quest’aula senza aver dato una risposta concreta agli operatori del settore.
Sono convinto che i problemi legati a “mucca pazza” e alle manipolazioni genetiche in agricoltura hanno avuto un merito: costringere i governi nazionali e sovranazionali a rendersi conto di una situazione che ormai stava degenerando da tempo. Sicuramente la politica agricola europea ha avuto, a partire dagli anni ‘50, il merito di assicurare al vecchio continente la piena sufficienza alimentare ed a creare anche delle aziende agricole moderne e frenando, soprattutto, lo spopolamento delle campagne. Tuttavia, con il passare del tempo i costi di una simile politica si sono dimostrati insostenibili. Nonostante i vari ritocchi degli ultimi anni, ancora oggi l’Ue spende, per il solo settore agricolo, oltre 40 miliardi di euro, che rappresentano più del 50% del bilancio comunitario.
Questa politica si basa, in sostanza, su sussidi alla produzione e dazi alle importazioni, così da mantenere elevati i prezzi dei generi alimentari. Così facendo il settore agricolo è sicuramente diventato un comparto importante dell’economia europea, tuttavia su di esso si sono concentrati ormai li strali degli Stati Uniti e degli altri Paesi, anche del Terzo Mondo, a causa dell’elevato livello di protezionismo che è stato creato, ed inoltre — ed è questo il pericolo per noi più evidente — con l’allargamento dell’Europa ad est è sicuramente impensabile mantenere immutato l’attuale regime di politica dei prezzi, soprattutto di contributi e di aiuti che mantengono in piedi tante delle nostre aziende agricole.
Credo che siamo, in ogni caso, alle soglie di una trasformazione epocale dell’agricoltura. Questo non è un passaggio ininfluente. Occorre ripensare al ruolo strategico dell’agricoltura e ridefinirlo adeguatamente, avendo come obiettivo ultimo quello della salubrità dei prodotti.
Era già evidente per tutti che molte cose non andavano. Faccio degli esempi concreti. Quando si impiegano circa 12 mesi per portare un toro a pesare sette quintali — una volta mio nonno, Mucci Pietro, che faceva l’allevatore alla “Vallina”, ci impiegava quasi tre anni, con i soli prodotti agricoli — quando ci sono delle mucche da latte che producono anche 60 litri al giorno — mentre una mucca al pascolo libero ne produce 14-15 — è evidente che c’è qualcosa che non va.
Che cosa fare di fronte a una situazione di questo tipo? Dicevo prima che il sistema agricolo in Italia e nella nostra regione si regge in particolare, o quasi totalmente, sui vari aiuti che confluiscono alle aziende. Questo ha comportato, per alcuni e per certi aspetti, un disinteresse rispetto alla qualità del prodotto e alla sua commercializzazione. Nella Comunità europea si sono messi in atto strumenti di controllo del mercato interno al fine di eliminare la concorrenza tra gli Stati membri. In futuro, con la cosiddetta globalizzazione e principalmente con l’ingresso nella Cee dei Paesi dell’Europa orientale tali equilibri sono destinati a saltare.
Secondo me occorre subito orientare l’offerta, ristrutturarla verso la qualità e la tipicità, in primo luogo diffondendo la cultura della qualità sia presso i produttori che verso i consumatori. Il consumatore deve essere a conoscenza in maniera trasparente del ciclo produttivo ed imparare a riconoscere il prodotto di qualità, che deve essere ottenuta sia intervenendo sui processi che sui prodotti. I terreni agricoli per le aziende sono fonte di reddito, per altri soggetti semplicemente una forma di investimento. In quest’ultimo caso, per chi non fa l’agricoltore come professione, è evidente che il proprietario è sostanzialmente disinteressato a gestire la cosa come un’azienda agricola vera e propria, essendo ripagato in pieno dai contributi che ottiene e dalla rivalutazione del terreno acquistato.
Una soluzione a questo problema potrebbe venire dalla riforma del sistema fiscale. Penso che questo sia uno strumento che dovremmo utilizzare in agricoltura: chi vive dell’azienda agricola dovrebbe mantenere degli sgravi e avere anche degli sgravi superiori, mentre chi possiede un terreno agricolo “per speculazione” dovrebbe essere tassato come per il possesso di un qualsiasi altro bene. Visto che le risorse sono ristrette, dobbiamo indirizzarle verso coloro che fanno questa professione con tanti sacrifici, perché chi fa questa professione e la conosce sa che non esistono le ferie, sa che non esistono i sabati, sa che non esistono le domeniche, né Natale e Pasqua.
L’assessore prima faceva riferimento al quadro degli interventi comunitari. Vorrei dire su questo argomento alcune cose. Dal 2003 ci sarà la riduzione degli interventi PAC, l’integrazione al reddito dei seminativi. Oggi il girasole e il grano duro percepiscono un contributo più alto che non il grano tenero e il mais; si sta abbassando il premio per il girasole che presto sarà uguagliato a quello del grano tenero, per cui non sarà più produttivo coltivarlo. La barbabietola è oggi coltivata per circa 40.000 ettari nella nostra regione e il contingentamento europeo porta ogni anno ad una diminuzione del premio per la sua coltivazione, per cui fra poco non sarà più remunerativa. E’ facile immaginare che cosa accadrà al reddito in agricoltura senza la coltivazione della bietola e del girasole.
Da tenere presente che l’intervento PAC è previsto fino al 2006; dopo, il bilancio europeo dovrà tener conto dell’ingresso dei Paesi dell’est e si prevede una drastica riduzione dei flussi di finanziamento appunto verso i Paesi dell’Europa occidentale.
I fondi strutturali. Si parlava prima del piano di sviluppo rurale. Il piano di sviluppo rurale nel 2001 finanzia proposte relative al 1999. Questo perché la vecchia Giunta, con una delibera (la 2603 del 1999) ha aderito al regolamento dell’unione economica, destinando le risorse fino a tutto il 2001 ad impegni giuridicamente vincolanti presi prima entro il 31 dicembre 1999. Quindi i fondi stanziati dal piano di sviluppo rurale per l’anno 2000 e per l’anno 2001 andranno a coprire i vecchi impegni assunti e solo dal 2002 si potrà partire finanziando i nuovi progetti.
Queste sono delle realtà che vanno dette.
Non parliamo del programma Leader, ma diciamo qualcosa sulla globalizzazione. Gli accordi con gli Stati Uniti e il resto del mondo, quello che è chiamato in termine tecnico GAT, definiti ogni due anni, hanno valenza fino al 2006. Gli americani non vogliono più interventi della PAC, giudicandoli un sostegno sleale alla concorrenza. Con le tecnologie e la morfologia dei territori italiani è impensabile concorrere con i prezzi che riescono a praticare gli americani, senza una protezione di mercato, e minacciano di chiudere le frontiere per quanto riguarda altri prodotti tipici, per esempio della nostra regione, come le calzature e l’abbigliamento.
Anche per le carni si dovrà fare i conti con quelle provenienti dall’America Latina, dal Canada, financo dalla Nuova Zelanda. Stesso discorso per il vino, dove c’è una forte ascesa delle importazioni dai Paesi extracomunitari.
Alcune proposte operative, oltre al discorso cui accennavo prima dell’utilizzo degli sgravi fiscali. Innanzitutto serve un piano agricolo regionale...

MARCO LUCHETTI. Siamo d’accordo.

LUIGI VIVENTI. E su questo credo che siamo tutti d’accordo, però a tutt’oggi, caro Luchetti, questo piano agricolo regionale voi che siete maggioranza e che governate non l’avete predisposto. Quindi siamo tutti d’accordo, però lo dobbiamo fare.
Seconda cosa, bisognerebbe anche incentivare dei piani di settore e indirizzare i finanziamenti, come dicevo prima, verso produzioni tipiche di qualità e di basso impatto ambientale. Questo significa razionalizzare l’offerta.
L’altra cosa è una ricerca e un’acquisizione di mercati propri che consentano ai produttori italiani e marchigiani in particolari dia vere delle nicchie di mercato che li mettano al riparo dalla globalizzazione, dalla concorrenza insostenibile di altri Paesi per certi prodotti.
Inoltre, un adeguamento delle strutture con la definizione di un quadro finanziario, la predisposizione di un testo unico delle leggi per l’agricoltura assolutamente necessario e soprattutto i fondi relativi al risanamento ambientale vengano dirottati verso le aziende agricole, perché nessuno meglio degli agricoltori conosce il territorio e le sue esigenze. Occorre agganciare la politica ambientale a chi vive il territorio, invertendo la tendenza in uso fino ad oggi, a mettere in essere delle azioni ambientali esclusivamente penalizzanti per gli agricoltori. Questo è un fatto non secondario e importante.
Credo, modestamente, di aver dato un contributo alla discussione con delle proposte concrete e vi ringrazio dell’attenzione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Avrei preferito parlare in altre condizioni, comunque, visto che utilizziamo questo aspetto del regolamento, ne prendo atto.
Il documento che mi è stato testé consegnato non fa altro che confermare il giudizio che avevamo e che manteniamo su questa “sceneggiata”, perché si tratta sostanzialmente di una grande sceneggiata dal valore propagandistico. Questa Giunta regionale, incapace di affrontare le emergenze come l’ordinarietà di questa regione, guarda caso a un mese dalle elezioni politiche viene in Consiglio regionale a relazionare sul sistema degli interventi agricoli nella nostra regione. Il dato politico di fondo è questo: non si è voluto recepire la richiesta delle opposizioni di fare una cosa seria, e una cosa seria si poteva fare. Si poteva fare venendo qui oggi con un documento di indirizzi della Giunta, non con una relazione letta all’ultimo momento non consegnata, di cui nessuno di noi conosce i termini. Si poteva fare realizzando nel concreto la concertazione, facendo venire le associazioni degli imprenditori agricoli a parlare al Consiglio regionale, facendo una seduta “aperta” come avevamo chiesto, dando la parola agli operatori agricoli, dando loro diritto di cittadinanza, dando loro la possibilità di venire qui a dire quali sono i loro problemi reali, e noi reagire rispetto a questa posizione. No, si è scelta una strada diversa, si è scelta l’operazione propagandistica finalizzata ad accrescere la visibilità di un’operatività che non esiste della Giunta regionale, finalizzata solamente al consenso politico e questo dimostra la fondatezza del rilievo di fondo che noi rivolgiamo da tempo: non c’è la volontà reale di un confronto con il mondo agricolo delle Marche.
Siamo qui oggi solo come gesto di responsabilità e per rispetto agli operatori agricoli che hanno perso una giornata del loro lavoro per venire qui ad ascoltarci. La scelta che avremmo voluto fare era quella di disertare questa seduta per marcare il nostro dissenso rispetto a questa impostazione.
Il fatto stesso che sia stata predisposta dalla maggioranza una risoluzione su questi temi la dice lunga sulla mancanza di una volontà politica di definire insieme gli obiettivi. Si è parlato di una seduta monotematica del Consiglio regionale, di un lavoro congiunto da realizzare, di una prospettiva comune da assecondare. Oggi abbiamo ascoltato la lettura di una relazione che ci consente di confermare questo giudizio.
Altri colleghi interverranno sullo specifico delle questioni, lo ha fatto in maniera appropriata il consigliere Viventi, lo farà il consigliere Gasperi, comunque la posizione della Casa delle libertà anche in questo Consiglio, anche su questo aspetto oggi sarà richiamata con molta chiarezza e con molta proprietà. Voglio solamente fare alcuni riferimenti, reagire rispetto ad alcune delle cose che sono state dette, tantissime. Mi sembrava più una relazione non da Consiglio regionale ma da rapporti con Paesi della Comunità europea, comunque prendo atto che avremo agli atti, acquisita, una documentazione scritta rispetto a tutta una serie di considerazioni che la Giunta regionale fa sui problemi dell’agricoltura, perché si tratta solamente di considerazioni molto generiche e poco concrete.
Alcune brevissime considerazioni. Intanto, un giudizio sulla vicenda del piano di sviluppo agricolo. Che dire del ritardo nella sua approvazione, che ha determinato, di fatto, il lavoro di tante aziende per mancanza di investimenti per alcuni anni? Credo che questo sia un dato largamente acquisito alla cronaca politica e, purtroppo, ala consapevolezza degli operatori agricoli della nostra regione.
Secondo aspetto. Questo piano, così come tutta la politica regionale, è privo di un valore di fondo, il valore della concertazione. Mi dà fastidio che l’apertura, l’approccio della relazione dell’assessore abbia enfatizzato un dato: che se c’è un dato su cui non potete spendere una parola è che su questo piano avete sbagliato completamente. E’ mancato alla radice un rapporto concreto con le organizzazioni degli imprenditori agricoli. E lo hanno detto nei documenti, nelle manifestazioni che hanno dovuto fare per sollecitare una maggiore considerazione da parte della Giunta regionale. Una concertazione, guarda caso, che è stata recuperata solo nella predisposizione dello strumento operativo di applicazione del piano di sviluppo rurale, cioè i bandi.
Altro dato. Io credo che i bandi evidenzino — poi farò un rilievo e una proposta all’assessore — questo eccesso di burocrazia. Una lettura dei bandi confonde, invece di aiutare e facilitare una lettura e una capacità di acquisire immediatamente. Sembra che ci divertiamo a scrivere e scrivere per non far capire. Il primo dato che salta agli occhi ad una persona che segue da politico, anche se in forma esterna, è l’eccesso di burocrazia che può essere ricavato dalla stesura dei bandi predisposti. Così come c’è una scelta di fondo: che la scelta culturale e politica che sta dietro i bandi è una scelta di assecondare uno sviluppo blindato, cioè dire quanto deve essere l’aiuto, in che misura deve andare, che non deve esorbitare da quel livello. Cioè, una mortificazione, di fatto, della libertà d’iniziativa dell’impresa.
Credo che questo la dica lunga sulla volontà della Giunta di centro-sinistra di aiutare concretamente lo sviluppo dell’impresa agricola.
Altro aspetto che mi sembra possa essere richiamato è quello dei limiti delle risorse finanziarie destinate a questa operazione, con una puntualizzazione che è evidente e deve essere evidente agli operatori agricoli: che c’è qui una scelta ancora peggiore, cioè poco si dà all’impresa, molto si dà all’intervento pubblico, perché anche qui molto si dà ai carrozzoni politici che infestano questa regione: le Comunità montane, i Comuni in molti casi. Carrozzoni politici riferiti, evidentemente, al settore agricolo, alle competenze che non hanno, che non dovrebbero avere o che comunque sviluppano male. Un’applicazione al contrario del principio della sussidiarietà, quello che noi chiediamo da tempo per far sì che lo Stato e il potere pubblico facciano un passo indietro rispetto alla società civile. Qui no, queste procedure risentono di questa posizione culturale di più Stato e meno società. Altra valutazione è la limitazione temporanea degli interventi, che di fatto si riduce a tre anni, introducendo un punto interrogativo rispetto agli altri anni compresi nel periodo di efficacia della misura. Io voglio capire cosa accadrà nel 2004, 2005 e 2006, quando verranno meno gli aiuti erogati per l’ingresso degli ex Paesi comunisti. Vorrei capire bene in quale prospettiva si colloca questa posizione regionale.
Altro aspetto. Vorrei aver letto male, sarei contento di essere non confermato in questa lettura, ma tutta la partita dei giovani, amici della Giunta regionale, dov’è? Gli 8-10 miliardi che devono essere assegnati alle domande presentate per l’insediamento giovani dal primo maggio al 31 ottobre del 1998 dove sono? A quegli imprenditori agricoli cosa diciamo, che abbiamo scherzato? E le domande presentate dall’1.11 al 31.12.1998 rispetto alle quali c’era una garanzia politica data da qualcuno qui dentro che aveva assicurato “non preoccupatevi, ci pensa babbo-Giunta regionale con i fondi della Regione a fare questi interventi”...

STEFANIA BENATTI. “Mamma-Regione”...

ROBERTO GIANNOTTI. Io sono abituato a trattare con due uomini. Quando lei, consigliere Benatti, sarà presidente della Giunta regionale... E’ difficile? Io credo che abbia più facilità, per il clima elettorale che c’è, per il risultato elettorale del prossimo mese, che lei possa fare il Presidente del Consiglio in un tempo futuro.
Così come rimane tutta la partita equivoca, difficile complicata, ma rispetto alla quale dobbiamo dare risposte, di tutti gli interventi che comunque sono stati realizzati dai giovani imprenditori dall’1.1 al 31.2.2000. Una risposta va data, non possiamo far finta che il tempo si sia interrotto e che l’impresa agricola per quel periodo abbia smesso di operare. C’è una responsabilità che dobbiamo assumerci, di cui dobbiamo farci carico, rispetto alla quale dobbiamo, comunque, dare delle risposte.
Non ho sentito affrontare il problema della forestazione rispetto alla difficoltà oggettiva legata alla riduzione di dieci anni dei benefici previsti, che non considerano, oggettivamente, l’importanza di questo tipo di intervento rispetto alla difesa del suolo, come garanzia per il rischio idrogeologico, per la difesa dell’ambiente. Non ho sentito parlare della crisi del mercato dell’affitto, passato dalle 200.000 lire per ettaro di tanto tempo fa alle 800-900 mila lire attuali e agli effetti distorsivi del sistema degli aiuti. Non si ha il coraggio di sottolineare la gravità di una iniziativa che in qualche modo deve essere governata da parte della Regione. Non ho sentito parole rispetto ad un’altra delle situazioni drammatiche che vive l’impresa agricola, cioè li effetti dell’applicazione del Ppar, dei vincoli per l’agricoltura, dell’impossibilità per le imprese agricole di migliorare le infrastrutture aziendali. Possibile che non ci sia, da parte di chi dirige questo settore, la consapevolezza che l’impresa agricola non è uno strumento contro la tutela dell’ambiente ma è una condizione per la tutela dell’ambiente, quindi la possibilità di una deroga per modificare il piano?
Ho sentito, invece, le solite, rituali promesse rispetto alla zootecnia, anche se non ho colto ammissioni rispetto alla sottovalutazione del problema, rispetto ai ritardi, agli errori commessi.
Assessore Agostini, avevamo ragione: anche le Marche non sono immuni dalla crisi, lei ha dovuto prenderne atto. Non è corso a San Severino come è corso qualche suo collega assessore, però quando dicevamo che bisognava rimboccarsi le maniche e affrontare il problema che ci toccava da vicino non eravamo nel torto. Non siamo stati ancora capaci a realizzare una politica di tutela del settore zootecnico; non abbiamo voluto, come Regione, capire l’importanza di spenderci per garantire una iniziativa adeguata sul piano dello smaltimento delle carcasse, che è un problema e che rimane un problema; sul piano della valorizzazione delle carni marchigiane, che sono punto di riferimento fondamentale.
Vorrei chiudere con una brevissima puntualizzazione, assessore. La piaga vera dell’agricoltura marchigiana, da un angolo di lettura è rappresentata dalla “intossicazione da burocrazia” che vivono gli operatori agricoli marchigiani. Dal Consiglio regionale di oggi le rivolgo un invito: meno carte e più attenzione, meno formalità e più concretezza. Assuma un’iniziativa per una semplificazione legislativa, normativa e funzionale delle procedure, avrà tutta la nostra solidarietà.

LUCIANO AGOSTINI. Fatti dire da Cesaroni come funzionano i bandi...

ROBERTO GIANNOTTI. Noi facciamo la nostra parte, Agostini, lasciamo stare.
Credo che già questo segno di disponibilità a migliorare la capacità dell’azienda, che non può spendersi in adempimenti burocratici 24 ore su 24 ma che deve pensare allo sviluppo della propria attività, sa il primo segnale di attenzione da parte della Giunta regionale nei confronti del mondo agricolo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Gasperi.

GILBERTO GASPERI. Presidente, colleghi consiglieri, rispetto all’intervento fatto dall’assessore, ho una domanda da fare: è un libro dei sogni o un libro dei bisogni dell’agricoltura? Perché dal 1995 questa maggioranza è la stessa che guida la Regione e dal 1996 c’è una maggioranza a livello di Governo che guida lo Stato e se non altro alcune risposte o alcune risoluzioni a qualche quesito avrebbe dovuto darle.
Cercherò di seguire questa fase per arrivare ad avere un quadro completo su questi argomenti.
Lei sa benissimo che rispetto all’agricoltura c’è una regola che è già stata posta dai latini: “primum vivere, deinde philosophare”. Prima si deve produrre per vivere, per mangiare, poi andiamo a fare la filosofia, come tra l’altro detto nell’intervento del prof. Mondini all’incontro di Macerata Feltria. Non possiamo assolutamente continuare a non dare risposte concrete, risposte sicure. Ancora non ho sentito parlare della riforma vera, che è il riordino fondiario. Quando si pensa di fare questo riordino fondiario? Quali sono le basi concrete? L’agricoltura italiana vuole e deve partecipare a pieno titolo alle strategie di sviluppo del Paese e di questa regione. Su questa base gli agricoltori hanno sollecitato le forze politiche per la definizione di un profondo ed incisivo disegno riformatore. Non vi è dubbio, infatti, che si stenta ad attuare quegli interventi di ammodernamento che la competizione globale rende ineludibili in materia di funzionalità dell’apparato pubblico, sburocratizzazione e snellimento delle procedure, lotta alla criminalità, all’alleggerimento della pressione fiscale e previdenziale. Queste sono delle basi imprescindibili, altrimenti non si può minimamente pensare di parlare di azienda agraria, di impresa
Segnali preoccupanti giungono, fra l’altro, da un innegabile abbassamento di tensione per ciò che riguarda il contenimento della spesa pubblica. La legge finanziaria per il 2001 ha scatenato la rincorsa al facile consenso, proprio perché andiamo alle competizioni elettorali e andranno a pagare queste scelte i più deboli, li agricoltori. Occorre augurarsi che ciò non debba essere pagato, domani, in termini di inasprimento tributario o di riduzione della spesa destinata al sostegno degli investimenti, come già accaduto in questa regione prima delle elezioni del 16 aprile 2000, perché poi dimostrerò qual è stata la procedura di snellimento per ottenere i consensi che oggi andiamo a pagare, anche, non a caso, con il morbo della BSE.
In questo ambito l’agricoltura italiana ha potenzialità di assoluto livello, ma rischia di entrare in una grave crisi. Non possiamo correre dietro le grandi produzioni, ma dobbiamo correre dietro le produzioni di qualità, quelle produzioni di nicchia che ci preservino l’ambiente, la capacità degli imprenditori e quelle capacità imprenditoriali che gli italiani e gli agricoltori italiani hanno sempre dimostrato.
Alcuni limiti strutturali — la modesta dimensione media delle aziende e la insufficiente operatività delle organizzazioni economiche e di produttori ed i più elevati costi di produzione rispetto alla concorrenza internazionale — fanno sì che il settore fatichi a stare al passo con il mercato. La nostra agricoltura non può perdere posizioni.
Un altro elemento di debolezza è rappresentato dalla ridotta capacità progettuale e funzionalità della pubblica amministrazione. Oggi è diventato di moda dare incarichi ad alto livello ai dirigenti massimi, che quando arrivano in Regione o nelle altre istituzioni, hanno un incarico per 4-5 anni e per i primi 2-3 anni devono capire come funziona la macchina dove lavorano, perché non hanno mai fatto i dipendenti né della Regione, né della Provincia, né del Comune e se non ci sono i cosiddetti lavoratori “normali”, quelli di quinto e sesto livello la macchina non va avanti, però hanno incarichi da 200, 250, anche 300 milioni all’anno. Non è più solo una questione di ritardi nella erogazione dei pagamenti comunitari, ma come dimostra la vicenda della BSE, è un problema di incapacità di gestione delle emergenze. Il settore agroalimentare può dare un importante contributo allo sviluppo della nostra economia. Sul piano della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti, l’Italia non teme concorrenza, proprio perché sono nicchie che riescono tranquillamente ad assorbire la globalità, la totalità della produzione italiana e logicamente della produzione regionale, perché lo stesso rapporto Marche-Italia è il rapporto che c’è tra Italia e Unione europea o economia globalizzata.
Le esportazioni possono crescere in misura significativa ed è possibile riconquistare spazi sul mercato interno.
Siamo giunti alla fine di un triennio in cui si sono registrati avvenimenti di assoluto rilievo. Nel 1998 l’Italia è entrata a far parte dell’unione economica e monetaria, tra meno di un anno la lira uscirà definitivamente di scena, ma di fatto c’è già una sola moneta europea, una sola banca centrale e un unico tasso d’interesse. Vedremo più avanti che cosa significano, per questa amministrazione, per coloro che hanno guidato l’assessorato all’agricoltura, i tassi d’interesse. Li conoscevano, ma non hanno fatto niente per cercare di imporre una linea totalmente diversa. Due anni fa a Berlino si chiudeva un dibattito su Agenda 2000 con un pacchetto di risultati positivi per l’agricoltura italiana, a parte una grave e ancora irrisolta eccezione per i semi oleosi.
Si è decisa la strada per l’allargamento ai Paesi dell’est, e qui mi ricollego a quello che diceva il collega Giannotti: alcuni fra gli stati candidati potrebbero aderire già prima del 2004, acquisendo così il titolo a partecipare alle prossime elezioni del Parlamento europeo. E allora non facciamo il libro dei sogni, ma andiamo in concreto a dare risposte forse non risolutive, ma per lo meno inizieremo a darle e a prepararci per risolvere i problemi.
E’ un allargamento, quello ad est, che non può essere paragonato ai quattro che l’hanno preceduto ed è assolutamente impossibile, con il presente quadro finanziario, applicare ai Peco le attuali regole comuni per il nostro settore. In questo modo sarà distrutta l’agricoltura italiana. Tra l’altro, senza l’estensione ai nuovi partners, le adesioni costeranno non meno di 15 miliardi di euro l’anno. I prodotti agroalimentari importati dai Paesi terzi dovranno garantire gli stessi standards sanitari che esprimono quelli comunitari, e allora qui è la risposta che dobbiamo dare a coloro che ci governano, a coloro che non vogliono risolvere le problematiche. Ricordo i primi allevamenti di ovaiole, tanti anni fa: l’uovo veniva prodotto, nella provincia di Pesaro, a livello europeo — era la prima a livello italiano — ed erano piccoli allevamenti costruiti dagli emigrati italiani che erano andati in Svizzera, in Francia, in Germania, in Lussemburgo, in Belgio e soprattutto nelle miniere e che, colpiti da silicosi erano tornati in Italia impiantando degli allevamenti per le ovaiole. Ebbene, improvvisamente importavamo dai Paesi dell’est le uova a 18 lire contro le 19/20 lire delle nostre uova. Con la differenza che l’unico danno era per gli agricoltori, perché non si poteva dire che i consumatori avevano vantaggio, poiché l’Italia favoriva i signori della Fiat o altri industriali, per esportare i loro prodotti che non erano competitivi a livello europeo, in cambio merce con i prodotti agricoli. Questo è quanto sta avvenendo anche oggi
La crisi BSE continua ad essere pesante. Devo evidenziare, anzitutto, un aspetto di portata generale, che consiste nella necessità inderogabile di reperire risorse straordinarie per fronteggiare situazioni di crisi altrettanto straordinarie. Non è pensabile che siano gli agricoltori, con una riduzione dei pagamenti comunitari estesa a tutti i settori, a dover pagare i danni subiti dai colleghi allevatori colpiti da eventi che discendono da responsabilità altrui. Piuttosto esistono obblighi di responsabilità e solidarietà che devono essere rispettati da parte delle istituzioni, quindi da parte anche di questa Giunta.
Spero sia chiara a tutti la gravità della situazione. Si stanno mettendo in discussione gli equilibri finanziati dall’Unione, proprio quando sarebbero necessarie maggiori risorse per la prevista riforma di alcune organizzazioni di mercato particolarmente importanti per l’Italia, dal riso all’olio d’oliva, alla barbabietola sino agli adattamenti previsti per gli agrumi e via di seguito.
Ha ragione il presidente Chirac quando sostiene che l’agricoltura, come gli altri settori produttivi, non può sopportare un cambiamento di regole ogni due anni. Le regole non possono essere cambiate di continuo quando la macchina va avanti, altrimenti si continua a fare la stessa musica per fregare i più deboli. L’emergenza BSE ha fatto suonare l’allarme sulla sicurezza alimentare, non solo per dire “qui c’è un pericolo”. No, è la sicurezza alimentare. Devo rilevare con disappunto che il “piano proteine”, che era stato sollecitato anche da alcune organizzazioni, non sta trovando, nell’ambito delle istituzioni, una giusta risposta. La Commissione europea ha proposto semplicemente di sostituire le farine animali facendo ricorso alle importazioni: un milione e mezzo di tonnellate in più. Questo è il gioco che stanno facendo quei quattro peracottari che ci rappresentano a livello di Unione europea. E uso un termine prettamente agricolo, altrimenti se fosse un termine giuridico si dovrebbe dire “disonesti”, “farabutti”, “ladri”. Un milione e mezzo di tonnellate in più! Se il nostro ministro non riuscirà ad ottenere l’aumento della produzione di proteine vegetali negli Stati membri, pensate quali saranno i risultati pratici di tutte le crociate che sono state fatte contro gli OGM. E’ una presa in giro.
Abbiamo espresso un grande senso di responsabilità, noi dell’opposizione. Non deve esserci solo ed esclusivamente l’esigenza di andare a votare a maggio, quello è normale, è nella regola della democrazia, fortunatamente siamo un Paese democratico. E allora, qui dobbiamo solo vedere di risolvere e affrontare i problemi che sono legati agli anelli più deboli dell’economia, ma soprattutto a coloro che stanno subendo un danno gravissimo. Pertanto, proprio per questo motivo a tratti abbiamo assistito ad una autentica ingiusta criminalizzazione degli agricoltori. Fino a prova contraria dobbiamo essere orgogliosi anche dei nostri allevamenti. Noi non siamo mai andati in giro ad invocare la rigenerazione. E allora, proprio come è avvenuto nelle Marche, voglio andare a toccare un qualcosa di concreto. Ogni filiera deve trovare la propria strada, ogni impresa deve scegliere il modo migliore per incontrare i consumatori. Le leggi del mercato sono essenzialmente economiche, non si piegano ai proclami di parte o alle ideologie. E non è come è avvenuto nelle Marche.
Andiamo a vedere da vicino l’unico caso di “mucca pazza” avvenuto nelle Marche. Fortunatamente è avvenuto in una struttura che già doveva essere chiusa. L’esempio degli aiuti dati in modo disarticolato, in modo assurdo è dato ancora una volta dalla sfortuna che “mucca pazza” sia venuta fuori lì, altrimenti, quasi nessuno se ne sarebbe accorto.
Veramente qualche “fesso” si era già accorto di questo problema, egregio consigliere Luchetti. Io vengo sempre preso e additato come colui che fa previsioni apocalittiche sull’Esam. Infatti, dall’Esam hanno fatto l’Assam, “magnam!”, proprio il termine esatto.
Addirittura l’11 aprile 2000 — siamo andati a votare il 16 aprile — è stata fatta una delibera con la quale sono state fatte rinunce alle azioni promosse dall’allora commissario liquidatore per reperire soldi a delle cooperative che dovevano direttamente pagare le banche o rimborsare la Regione. Non a caso, nello stesso periodo è stata fatta una delibera per preparare una struttura che è andata a dare un finanziamento di 5,5 miliardi, e un miliardo e mezzo è stato dato alla cooperativa di Serralta che ha avuto la BSE, la quale era già in grave crisi, addirittura dicevano che doveva essere chiusa. Tra l’altro è talmente poco funzionante, che è già stata sequestrata, perché la sala mungitura non è regolare, in quanto la mungitura stessa viene fatta sotto una tettoia in eternit; gli scarichi del letame non sono regolari. Non sono cose mie, ma discendono dai sequestri fatti dal Nas dei carabinieri. Addirittura l’assessore all’agricoltura sapeva che era stato preparato tutto il marchingegno per darle il miliardo e mezzo, perché si sapeva che avanti non poteva andare. Addirittura, rispetto a 2.100 milioni di finanziamenti, la stalla vale — stima giurata, asseverata presso il tribunale — 545 milioni. Debbo però riconoscere che qualcuno era d’accordo nel chiuderla, nel trovare lo stratagemma, tanto è vero che la Regione ci è entrata ancora di più dentro, perché c’erano 409 milioni che dovevano essere pagati — è un accordo venuto con Meliorbanca — di cui 200 sono entrati a far parte del capitale, quindi azionisti sono l’Esam e la Regione che mi risulta sia l’azionista di maggioranza; gli altri 209 milioni sono stati dati in prestito senza interessi.
Allora mi chiedo: come si può pensare a parlare di agricoltura, a voler risolvere i problemi, ad andare a cercare di confondere una stalla come quella con il mondo dell’agricoltura? Ha 4,5 ettari di terreno. E’ vero che lo danno i soci, ma pensate che soci sono: nel 1999 il bilancio dice “foraggio e paglia, conferimento dei soci, per un importo di 53 milioni... Presidente, bisogna che finisca.

PRESIDENTE. Ha concluso il suo tempo.

GILBERTO GASPERI. No Presidente, mi faccia finire.

PRESIDENTE. Le do un minuto, non di più.

GILBERTO GASPERI. “Foraggio e paglia, 53 milioni conferimento dei soci; foraggio e paglia acquistati da soci, 24 milioni; foraggio e paglia acquistati da terzi, 54 milioni; mangimi e prodotti vari per alimenti, 280 milioni”. Vuol dire che se ci sono i mangimi, probabilmente prima o poi scopriremo che non erano solo di origine vegetale...

PRESIDENTE. Grazie, Gasperi. Ha la parola il consigliere Giuseppe Ricci.

GIUSEPPE RICCI. Presidente, colleghi, sono presentatore di una delle mozioni che sono oggi all’ordine del giorno, in questa seduta che abbiamo deciso di dedicare alla discussione sulle problematiche dell’agricoltura delle Marche, nel contesto più generale del nostro Paese e nel contesto ampio del sistema europeo.
La mozione che avevo presentato il 15 dicembre era sul sostegno della piattaforma presentata dalla Coldiretti. I riferimenti che facevo nella mia mozione erano legati al fatto che, essendoci un rapido cambiamento nella società, nel Paese, comunque i fattori politici, sociali ed economici che venivano influenzati da questo cambiamento non tenevano e non tengono in debita considerazione l’agricoltura italiana, alla luce anche di quanto essa rappresenta nella produzione lorda vendibile del nostro Paese; che il metodo della concertazione concordato con il protocollo d’intesa stipulato tra Governo e organizzazioni agricole aveva bisogno di un’ulteriore sollecitazione, di un ulteriore slancio, di una ulteriore spinta per poter procedere rapidamente secondo le condizioni verificate e concordate; che era necessario prestare la dovuta attenzione al settore agricolo in relazione non solo al sistema agroalimentare nella sua interezza ma anche alle attese dei cittadini consumatori, problemi che oggi abbiamo in grande evidenza nel nostro Paese, anche grazie ai mezzi d’informazione che danno notizie rispetto a fenomeni che ci riguardano, e che direi non bisogna nemmeno enfatizzare perché correremmo il rischio di produrre un effetto-boomerang, nel senso che un’agricoltura sana, dinamica, positiva come quella che vogliamo nel Paese e nella regione Marche non può essere danneggiata da un momento di particolare difficoltà che noi stessi evidenziamo e manifestiamo con una grancassa che amplifica e produce un danno notevole. Gli aspetti economici che complessivamente sono legati a questa ipotesi di sostegno della piattaforma avanzata dalla Coldiretti che io avevo avanzato come iniziativa del Consiglio regionale, devono partire da questi elementi a cui facevo riferimento nella mozione stessa.
Oggi è stata distribuita una cartellina ai colleghi consiglieri regionali da parte di questa associazione nella quale sono contenuti alcuni elementi di riferimento per queste considerazioni che nella premessa della mozione presentavo: il prodotto interno lordo che non consente, comunque, di essere rapportati, all’attenzione che c’è nel Paese per altri settori e che invece incide per 330.000 miliardi, pari al 16% di quello nazionale; il problema dell’occupazione, del lavoro: ci sono 1.060.000 unità iscritte alle camere di commercio a 1.400.000 occupati, il 6% dell’occupazione totale; i problemi dell’agricoltura ecocompatibile e biologica, quindi i problemi legati alla qualità, alla produzione che dà anche garanzie di presenza sul mercato, un tipo di produzione che ci consentirebbe, se opportunamente valorizzata, sfruttata, promossa, commercializzata, di avere anche un mercato più ampio. Non parlo solo di un’agricoltura di nicchia: è un’agricoltura che oggi deve puntare in modo particolare sulla qualità e sul basso impatto ambientale e non può essere solo un’agricoltura di nicchia quella che noi dobbiamo perseguire nel sistema-Paese e nella regione Marche in modo particolare. E’ uno degli elementi forti e significativi, quello dell’agricoltura biologica, è uno degli elementi forti, uno egli elementi significativi quello della produzione a basso impatto ambientale. C’è comunque un drastico ridimensionamento delle sostanze utilizzate per concimare, quindi il sistema complessivo dei prodotti degli è passato da 62.000 a 47.800 tonnellate in dieci anni, quindi una riduzione di un terzo. Le aziende biologiche in Italia sono 49.000 rispetto alle 105.000 dell’Unione europea, quindi quasi il 50%, mentre i prodotti tipici nazionali rappresentano il 7% della produzione.
Questi sono gli elementi, anche numerici, statistici, che suffragano quella necessità di attenzione da parte del Parlamento nazionale, del Governo nazionale, se vogliamo delle Regioni, tenendo conto che comunque la riforma federalista dello Stato, che non sappiamo se sarà confermata o non sarà confermata, se comunque avrà una sua evoluzione, in ogni caso rappresenta una base di partenza dalla quale non si torna indietro, tutt’al più si potrà potenziare il sistema della responsabilità e della responsabilizzazione delle Regioni e delle amministrazioni periferiche, sicuramente non si andrà a una riduzione di quanto stabilito con la riforma federalista. Tutto ciò, tenuto conto che comunque la riforma federalista dello Stato attribuisce pienezza di competenze in questo settore e nel settore connesso in maniera anch’essa significativa prioritaria, quello dell’ambiente, alle Regioni e quindi al sistema delle autonomie locali.
Che cosa fare, che tipo di attenzione prestare, quali tipi di interventi sostenere rispetto a questa necessità di porre attenzione al mondo agricolo? Puntare sulla qualità, sulla tipicità dei prodotti, sulla genuinità, sulla tracciabilità, sui vari percorsi che hanno portato dal momento iniziale al momento finale della produzione, quindi alla immissione sul mercato. Un’alleanza tra agricoltura, industria, sistema delle produzione, dei prodotti, della commercializzazione e distribuzione che si basi sulla qualità e sulla certificazione del prodotto. Una corretta informazione al consumatore, che deve essere in grado di saper individuare il prodotto che acquista, sia esso acquistato al supermercato, sia esso acquistato nelle sezioni specializzate, sia esso acquistato direttamente dal produttore agricolo. Quindi una etichettatura che garantisca il percorso che si è seguito e che dia certezze al consumatore, una sorta di società che tenda ad evidenziare quanto di positivo viene prodotto in agricoltura e tenda allo stesso tempo a dare garanzia al consumatore, un’alleanza fra produttore e consumatore che deve essere favorita e incentivata e la necessità di applicare il meccanismo di precauzione agli organismi geneticamente modificati. Su questo elemento siamo tornati più volte in quest’aula e ci siamo espressi anche in maniera chiara con un documento votato all’unanimità. Ma oltre al sistema della produzione dobbiamo pensare all’ambiente e territorio. Si è detto che il coltivatore diretto rappresenta l’ultimo, forse l’unico presidio che abbiamo sul territorio in grado di impedire eventi che a volte sono anche di natura catastrofica e che comunque provocano danni rilevanti al sistema idrogeologico, all’ambiente, ai terreni, che comunque tendono, con la loro azione, con il loro lavoro a garantire che ci sia lo scorrimento reale delle acque nei fossi naturali, che tendono comunque a garantire che il terreno rappresenti un elemento di forza e non un elemento di debolezza rispetto al sistema idrogeologico da tutelare.
Questa presenza umana però si sta in qualche modo indebolendo, soprattutto nelle aree marginali, nelle aree montane, nelle aree nelle quali il presidio umano rappresentava, storicamente, l’ultimo baluardo per impedire che i fenomeni di degrado ambientale venissero in qualche modo evidenziati in maniera troppo forte rispetto alle capacità di far fronte con interventi ordinari e straordinari da parte della pubblica amministrazione. Quindi è necessario che anche la pubblica amministrazione stabilisce un rapporto diretto, una sorta di contratto tra le parti con gli imprenditori agricoli, con il mondo dell’agricoltura, per far sì che alcune attività che hanno una rilevanza pubblica, seppur svolte direttamente dall’imprenditore agricolo, dal coltivatore diretto, abbiano un riconoscimento, vengano valorizzate e trovino quindi, in una sorta di contratto, di concordato fra le parti, fra agricoltore agricolo, Stato, sistema delle autonomie, una valorizzazione e un giusto riconoscimento, quindi una sorta di contratto territoriale fra imprese agricole, Regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni e di interesse collettivo.
Il sostegno per la crescita all’impresa. Occorre studiare nuovi meccanismi, nuovi sistemi affinché le imprese agricole abbiano dei costi di produzione competitivi, un credito finalizzato agli investimenti, tenendo conto che c’è sempre da rincorrere l’innovazione tecnologica e c’è sempre, se vogliamo produrre agricoltura di qualità, tipicità, marchi con i quali vogliamo essere sempre presenti sui mercati nazionali e internazionali, bisogno di adeguare anche la nostra dotazione tecnologia, le nostre attrezzature agricole, le strutture aziendali che devono essere competitive.
Un credito finalizzato agli investimenti e alla rigenerazione dell’agricoltura. Il sostegno alle iniziative agricole avviate nell’ambito della programmazione negoziata, quindi i patti territoriali e i contratti d’area, che non possono essere come momento di privilegio rispetto ad un tipo di sistema economico che è significativo anch’esso, ma che non può marginalizzare l’agricoltura, che deve quindi vedere come attore protagonista principale, significativo per quello che riguarda la scelta della Regione Marche, anche il sistema dell’impresa agricola, un sistema che non si misura solo sulla capacità di produrre, di dare qualità, di essere anche il presidio umano per evitare il degrado dell’ambiente, ma che deve essere aiutato anche con ulteriori strumenti quali l’ammodernamento dei sistemi di trasporto e quindi l’ammodernamento infrastrutturale, che consenta poi la rapida immissione sul mercato dei prodotti agricoli. Un sostegno alla fiscalità, che in qualche modo deve essere ridotta per le imprese agricole, non solo con il congelamento delle aliquote Irap e il regime speciale dell’Iva, ma anche con adeguate misure tributarie per favorire il ricambio generazionale che nelle nostre imprese agricole deve essere in qualche modo accelerato e preso come punto di riferimento rispetto ad una scelta di agricoltura innovativa e compatibile con un sistema dinamico qual è quello con il quale ci confrontiamo quotidianamente, utilizzando la leva fiscale per ridurre gli interventi fiscali e quindi la quota di fiscalità rispetto alla scelta di ricomposizione fondiaria.
I rapporti con la pubblica amministrazione debbono essere semplificati: va delegificato il sistema complessivo per favorire l’accesso alle misure, agli interventi comunitari, agli interventi regionali, agli interventi offerti dai patti territoriali. Non dobbiamo far produrre quintali di carta, di certificati, di documenti, dobbiamo ricorrere alla semplificazione, alla autocertificazione, ai meccanismi che responsabilizzano i nostri imprenditori che sono adulti, sono grandi e dimostrano di essere molto spesso alle avanguardie più capaci della pubblica amministrazione di dare risposte in tempi rapidi e immediati.
In conclusione, qual è la sintesi delle iniziative che la Regione Marche può mettere in campo rispetto a questo insieme di richieste? L’attuazione del piano di sviluppo rurale, che è stato votato da quest’aula, va monitorato, va tenuto sotto costante controllo, ne va verificata l’attuazione rispetto ai principi generali che in esso sono contenuti; la predisposizione del piano agricolo regionale, che è uno degli elementi che, anche nella risoluzione di maggioranza presentata, assumiamo come impegno preciso da adottare e da approvare definitivamente, dando una certezza nei tempi; la semplificazione legislativa alla quale facevo riferimento precedentemente. Non so se sarà possibile elaborare un testo unico delle leggi regionali, ma certo è che questa è la strada verso la quale muoversi e verso la quale accelerare il processo di semplificazione, se vogliamo, anche qui, avere un ruolo di assemblea legislativa come ruolo preminente e primario di confronto e di rappresentanza con le istanze delle autonomie locali. Inoltre, la definizione di un quadro finanziario complessivo che non può essere disarticolato: in alcuni casi i finanziamenti dell’Ue attraverso gli obiettivi comunitari, attraverso i progetti Leader, attraverso programmi particolari e speciali, poi i finanziamenti dello Stato, poi il finanziamento della Regione. Tutto il quadro d’assieme delle risorse, non solo dell’agricoltura, ma anche in sinergia con il discorso dell’agricoltura, deve essere verificato.
Ho parlato dell’ambiente, ho parlato del sistema di trasporto, quindi della capacità di commercializzare i nostri prodotti, bisogna parlare anche dei finanziamenti che, sulla sanità, possono essere destinati — vediamo il caso della BSE — ad integrare il panorama complessivo delle risorse disponibili.
Come ultimo impegno quest’aula può assumere quello di dare una rilevanza istituzionale al mondo dell’impresa agricola, riconoscendole un ruolo funzionale, primario all’interno delle nuove regole che questa Regione si darà con l’approvazione del nuovo Statuto. Credo che questi siano elementi concreti di rapporto e di dialogo diretto con un mondo importante, che è il più vicino ad una realtà come quella marchigiana, nata come realtà contadina, che vuole anche oggi, con lo sviluppo industriale e post-industriale che c’è stato, mantenere una tradizione forte, un legame forte con il mondo dell’agricoltura.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Avenali.

FERDINANDO AVENALI. Questa mattina ho visto arrivare degli agricoltori e sono contento, perché pensavo che questo servisse a tenere più alta l’attenzione in questo Consiglio regionale, ma invece non è stato sufficiente, perché credo che la materia che trattiamo nella sua complessità e nella sua importanza meriti molta attenzione.
Qui non si vuol fare nessuna sceneggiata, Giannotti. La discussione avviene in un momento particolare, siamo in campagna elettorale, Giannotti... (Interruzione). La complessità dei problemi e l’urgenza di affrontare alcune questioni, ci ha consigliato — l’avevamo deciso insieme, come gruppi — di arrivare a questo appuntamento... (Interruzione). Giannotti, io non ti ho interrotto. Hai detto le tue cose nel modo che ritenevi più opportuno, lasciami fare altrettanto. Credo che lo sforzo che dobbiamo fare tutti è quello di aprire questo confronto che non si esaurisce qui. A me sembra che l’aspetto più importante di questo appuntamento, dal punto di vista politico, è quello di accrescere la sensibilità, anche dentro quest’aula, su queste problematiche. E’ vero che di agricoltura abbiamo parlato abbastanza spesso perché le vicende ce l’hanno imposto, ma l’attenzione non è assolutamente adeguata alla complessità dei problemi e alle difficoltà che incontra l’agricoltura, ma anche all’importanza che la stessa riveste. Anch’io ho presentato una mozione l’11 gennaio sulle problematiche dell’agricoltura, che ritirerò perché concluderemo questa seduta con una proposta di risoluzione che prende impegni, che fa un’analisi e che si assume responsabilità politiche. Credo che questo sia l’aspetto più importante di questo appuntamento, affinché il Consiglio regionale sia sensibile rispetto alla complessità e all’urgenza dei problemi che dobbiamo affrontare in questo comparto economico-sociale sia a livello della nostra regione che nazionale. Pertanto, tutto quello che è contributo è opportuno. Non ci sono soluzioni facili, ma si tratta di soluzioni complesse che dovremmo tenere fuori dagli slogans elettorali.
Lo stesso Giannotti diceva che c’è un problema di vincoli nell’agricoltura, che bisogna vedere certe cose: questo è un elemento vero su cui dobbiamo riflettere per dare delle risposte.
Il piano di sviluppo rurale ha avuto dei ritardi, ed è stato detto in quest’aula, però le risorse del 2000 sono state utilizzate per finanziare progetti già in essere che avevano i requisiti, pertanto abbiamo utilizzato quelle risorse. Per quanto riguarda il 2001 — anche se c’è nei bandi questo impegno che peraltro deve essere confermato dalla Comunità economica europea, di inserire investimenti effettuati nell’arco del 2000 — si attivano per investimenti da realizzare, quindi sappiamo che ci sono delle scadenze.
La burocrazia è uno dei grandi problemi che dobbiamo ancora riuscire a risolvere nella sostanza, ma anche grazie al contributo delle organizzazioni agricole credo sia stato fatto uno sforzo. Rispetto alle prime bozze è stato semplificato quanto era possibile. Quindi, anche da questo punto di vista credo che dobbiamo guardare ai fatti. Di passi in avanti ne sono stati fatti, non sono sufficienti, abbiamo problemi grandiosi da affrontare, il contributo che dobbiamo tentare di dare va in questa direzione.
Il tempo non mi permette di fare un ragionamento organico, pertanto tratterò anch’io l’argomento a punti, qua e là. Credo che siamo in un momento particolare. Qualcuno ha detto che siamo a un passaggio epocale per quanto riguarda la complessità della situazione agricola; siamo in un passaggio epocale per le difficoltà che ha l’agricoltura e anche per quello che è accaduto, quindi la rottura che c’è stata fra il vecchio sistema e il nuovo che abbiamo iniziato a mettere a punto per il futuro e che ha posto l’ultima vicenda di “mucca pazza”, ma prima ancora ci sono stati tanti altri fatti che ben conosciamo. Rispetto a un’agricoltura la cui competitività era legata alla quantità delle produzioni, a una forte spinta alle meccanizzazioni, adesso tutti si ricordano che le colline sono state spogliate, che si è puntato sulla quantità e non sulla qualità, ma queste scelte non le hanno fatte gli agricoltori, sono state le scelte politiche compiute nel corso degli anni, sia in Italia che in Europa e oggi raccogliamo le conseguenze di questa scelta politica.
La cosa che dobbiamo dire con grande chiarezza ma anche con grande impegno è che questa è una scelta sbagliata sulla quale non possiamo continuare, perciò dobbiamo trovare una strada alternativa, ma che non può essere lasciata alla scelta soltanto dei singoli agricoltori ma deve essere frutto di una decisione politica complessiva sia a livello nazionale che delle Regioni per il ruolo che le stesse hanno in agricoltura, non solo verso il Governo nazionale ma anche rispetto al rapporto con la Comunità economica europea. Quindi dobbiamo essere estremamente attenti. Questa scelta di qualità l’abbiamo fatta, gli agricoltori, là dove è stata posta sono stati disponibili a coglierla, ma fino ad oggi chi ha fatto la scelta della qualità ha avuto più problemi di chi faceva le scelte quantitative. Sappiamo benissimo che in agricoltura, con i contributi PAC ci sono state aziende — meno nelle Marche — che non raccoglievano nemmeno i prodotti, prendevano il contributo PAC e guadagnavano bene. E’ ovvio che è stata una scelta politica che possiamo oggi definire scellerata, che comunque è stata fatta e gli agricoltori li abbiamo spinti in questa direzione. Adesso dobbiamo cambiare strada. Il discorso agricolo è andato avanti in questa maniera anche perché è stato dimenticato. Sappiamo benissimo che l’agricoltura era un settore primario decisivo per l’economia, per l’occupazione, poi è diventato serbatoio di manodopera, poi è diventato una cosa poco importante, dimenticata, perché il tutto veniva legato al discorso della produzione lorda vendibile e dell’occupazione, sia autonoma che dipendente. I fatti di questi giorni ci dimostrano invece che non possiamo limitarci a questo tipo di ragionamento ma dobbiamo dare all’agricoltura l’importanza che ha in quanto rimane settore primario, in quanto è il settore che produce materia prima alimentare. Questa è la scelta che in questi anni si è abbia. Va anche detto che in questi anni questo processo si è avviato, anche grazie ai governi di avviata, perché Agenda 2000, la finanziaria del 2001 che pure non dà tutte le risposte, hanno comunque avviato un processo nuovo, interessante, che va nella direzione giusta, che prende atto degli errori che sono stati compiuti nel passato. Pertanto credo che da questo processo dobbiamo cercare di guardare in avanti, dobbiamo vedere come dare input precisi, come riuscire a dare un contributo perché ci siano anche quei ricami generazionali che in agricoltura sono necessari, in modo che si ricreino le condizioni affinché i giovani possano tornare in agricoltura, e le condizioni sono legate fondamentalmente al reddito, perché oggi, al di là di tutte le chiacchiere che facciamo, il reddito in agricoltura è inadeguato. Sappiamo benissimo che per quanto riguarda il reddito, il 2000 è stato un anno negativo, sia per quanto riguarda l’andamento climatico che per la situazione dei prezzi, per le difficoltà dei mercati. Queste sono alcune delle questioni che dobbiamo cercare di risolvere, e qui riassumiamo questo tema del ruolo multifunzionale dell’agricoltura, un ruolo nuovo, nel senso che la parte agricola è importante, ma è molto più importante questo rapporto tra agricoltura e alimentazione, quindi sicurezza alimentare; è molto più importante il rapporto agricoltura-territorio-ambiente; agricoltura e sviluppo rurale. Sappiamo che nella nostra regione c’è un sistema diffuso di economia che regge in quanto c’era questo intreccio del rapporto tra l’agricoltura e gli altri settori. Se l’agricoltura dovesse perdere ulteriori colpi ed avere ulteriori difficoltà, credo che l’intero sistema economico-sociale avrà delle conseguenze negative. Ecco pertanto il ruolo multifunzionale dell’agricoltura, delle zone interne, della montagna, delle scelte dei parchi. Comunque, a livello agricolo ancora risposte precise non ne abbiamo date, pertanto il nostro ragionamento deve andare in questa direzione. Spesso si dice che l’agricoltore è il giardiniere della natura, la sentinella della natura, però questo ruolo di carattere generale nell’interesse collettivo, non può essere sulle spalle dello stesso agricoltore dal punto di vista dei costi. Di qui l’esigenza di riconoscere una sorta di integrazione del reddito, forme di integrazione al reddito agricolo che sono indispensabili. Spesso diciamo che la PAC finirà nel 2006. Sappiamo benissimo che c’è questo tipo di situazione, anzi credo che dobbiamo essere molto attenti, perché rischiamo che questo discorso a livello comunitario si apra anche prima, ma credo, altrettanto, che dobbiamo trovare forme di integrazione al reddito, altrimenti la nostra impresa agricola non sta in piedi. Questo vale in particolare, vale a livello generale, ma vale anche nelle Marche dove pure l’agricoltura ha fatto dei passi avanti notevoli in questi anni, anche dal punto di vista della scelta qualitativa. E comunque, questi settori più remunerativi — anche se remunerativi cominciano a diventarlo ora che si può spuntare qualche lira in più sul prezzo dei prodotti, perché qualche anno fa chi faceva qualità ne subiva le conseguenze dal punto di vista dei costi, perché non riuscivamo a essere competitivi con chi faceva soltanto il discorso dei prezzi — vanno seguiti con molta attenzione. Sappiamo benissimo che questa è stata la nostra difficoltà, sia per la politica agricola nazionale, comunitaria, ma anche di Paesi terzi dove non ci sono regole. Se facciamo una scelta di qualità e poi non riusciamo a strappare prezzi adeguati, più remunerativi, è ovvio che questa scelta non va avanti, pertanto delle risposte in questa direzione le dobbiamo dare.
Nella nostra regione c’è un forte calo delle imprese agricole. In questi giorni cominciano a venir fuori i primi dati dell’Istat e vediamo che nelle Marche negli ultimi dieci anni è diminuito il numero delle imprese agricole del 19,3%, quindi una percentuale molto alta rispetto anche alle altre regioni del centro-nord. Noi perdiamo 5.000 aziende agricole nel periodo 1996-2000. Ma nel contempo abbiamo anche un altro dato su cui dobbiamo riflettere: che il 90% di queste aziende, nelle Marche, sono con sola manodopera familiare, quindi noi abbiamo la presenza di una piccola e piccolissima impresa. Molto spesso la difficoltà remunerativa dell’agricoltura marchigiana e anche italiana è dovuta proprio alla maglia poderale. Credo che non possiamo attendere, per dare risposte adeguate relativamente all’allargamento della maglia poderale, problema che dobbiamo affrontare incentivando l’acquisto di terreni, ma c’è anche un problema di prezzo dei terreni. Dobbiamo combattere la rendita, la speculazione, ma sappiamo oggi che il prezzo dei terreni è fuori mercato rispetto a quelli che si riesce a produrre in termini di risultati alla fine dell’anno. C’è un problema di costi, un problema di contributi pubblici, ma anche un problema di attaccamento alla proprietà, quindi penso che lo sforzo che dobbiamo fare nei prossimi anni è quello di rendere economicamente valida la nostra piccola impresa, quindi farla passare da un punto di debolezza e un punto di forza.
Come possiamo fare? Vedo 4-5 punti di riflessione profonda su cui incentrare l’attenzione e il lavoro di elaborazione, sia per quanto riguarda il piano agroalimentare regionale che vogliamo presentare entro pochi mesi, sia per quanto riguarda la presentazione di specifici piani di settore, perché noi abbiamo problemi seri riguardo a determinate culture. Noi abbiamo l’80% di seminativi e sappiamo benissimo che sul grano difficilmente riusciamo ad essere remunerativi, pertanto bisogna che individuiamo delle alternative.
Un primo punto riguarda la necessità di ribadire il discorso della tipicità, della qualità e della salubrità. Qui si parla spesso di patto con i consumatori: occorre avere un grande rapporto di sensibilizzazione dei consumatori, che debbono comprendere cosa significa fare un prodotto sano, un prodotto di qualità, quali sono i costi, quindi sensibilizzare per renderli anche disponibili a non scegliere soltanto sulla base del prezzo, in particolare quando si va alla grande distribuzione, ma far distinguere fra un prodotto di qualità e un prodotto che viene da agricoltura estensiva.
Poi dovremmo cercare di individuare una graduale diversificazione, perché su alcune colture non stiamo in piedi. Ovviamente nn possiamo dire all’agricoltore, se vogliamo mantenere viva l’impresa agricola, che non si deve piantare grano perché non è remunerativo senza dire in quale direzione si deve muovere. Di qui l’esigenza dei piani di settore. Credo che questa graduale diversificazione possa avvenire incentivando le colture arboree, in particolare la vitivinicoltura su cui ci sono dei problemi, l’olivicoltura, il rimboschimento, l’ortofrutta per quello che è possibile e il discorso della zootecnia, perché siamo veramente al lumicino. Ma qui occorre fare una scelta di tipo inverso, quindi rilanciare il discorso del settore zootecnico, in particolare bovino, pensando anche a colture legate alla mangimistica, visto che, giustamente, abbiamo detto che non si può continuare nelle scelte del passato. C’è poi questo nuovo discorso sul biodiesel. Secondo me noi dobbiamo individuare colture alternative, remunerative, che permettano di utilizzare gli impianti. Noi abbiamo grossi problemi per rendere competitiva la bieticoltura, perciò chiuderemo anche gli altri zuccherifici? Credo che dobbiamo impedire tutto questo andando a individuare forme alternative, su cui bisogna fare investimenti.
L’altra cosa importante è aumentare il valore aggiunto. Questo significa che dobbiamo avere una maggiore capacità di aumentare la trasformazione e la commercializzazione. Non possiamo essere produttori solo di materia prima, perché dal punto di vista della redditività è troppo limitata, pertanto dobbiamo spingere molto in direzione della trasformazione e commercializzazione del prodotto finito. Siccome abbiamo un’impresa polverizzata, credo che il ruolo della cooperazione e dell’associazionismo sia molto importante, molto significativo.
Sono d’accordo con alcuni interventi della minoranza, quando si dice che comunque devono essere aziende, cooperative capaci di remunerare bene le produzioni e capaci di produrre utili da reinvestire. Siccome le cooperative non ripartiscono gli utili alla fine dell’anno, debbono remunerare bene i prodotti e nel contempo debbono investire in tecnologie, in innovazione. Va combattuta ogni scelta assistenzialista; non dobbiamo spendere soldi pubblici per ripianare le perdite di aziende che non sono recuperabili e questo deve essere un punto estremamente chiaro, ma credo che in una realtà agricola quale quella marchigiana il ruolo del cooperativismo e dell’associazione è fondamentale. E’ ovvio che bisogna ridargli quella capacità, anche manageriale, che l’impresa esige. Questa è la scelta che dobbiamo fare. L’altra cosa importante è riconoscere questo ruolo multifunzionale, che significa affidare agli agricoltori dei compiti anche mediante convenzioni. Ho visto proposte delle organizzazioni agricole che io condivido, tra i Comuni e gli agricoltori per fare una serie di lavori. Sul discorso è la regimazione delle acque, della pulizia dei fossi si possono fare delle convenzioni tra il pubblico e gli agricoltori e affidare a loro questi compiti per integrare il reddito agricolo. Come pure credo che sia decisiva e importante la crescita dell’agriturismo, però tengo a dire qui che deve essere una crescita qualitativa, di un agriturismo di qualità, competitivo sulla qualità. Per me è importante anche fare un ristorante nelle zone interne, ma sicuramente non dà il contributo che necessita all’agricoltura. Pertanto, una scelta di agriturismo di qualità.
Penso che il discorso della valorizzazione e promozione sia un aspetto essenziale, centrale. Non possiamo dare veramente un contributo per una svolta netta sulla qualità, tipicità, valorizzazione dei prodotti, se non riusciamo a fare grandi investimenti di valorizzazione dei territori. Sappiamo che in tutti i Paesi del mondo in cui i prodotti agricoli sono di grande valore, si tratta di un valore dovuto all’insieme della valorizzazione del territorio, quindi un valore aggiunto che si è conquistato con la valorizzazione del territorio. Credo che qui la Regione debba fare una scelta di campo, nel senso che dobbiamo passare dalle poche risorse che abbiamo a disposizione nel bilancio regionale, visto anche che non abbiamo più la possibilità di utilizzare risorse comunitarie, a una scelta fortissima. Se devo individuare oggi una priorità la individuerei nella promozione e valorizzazione delle zone interne e dei prodotti. La Regione deve investire decine di miliardi in questa direzione per alcuni anni: dieci miliardi all’anno. Se non portiamo qui turisti e non valorizziamo questi prodotti, credo che tutto il discorso della tipicità rimanga fine a se stesso. Noi abbiamo una produzione di qualità alta, vera, molto marginale quantitativamente, quindi una sterzata in questa direzione può venire solo se faremo una forte valorizzazione dei territori e delle produzioni agricole, dando questo ruolo anche alla piccola impresa.
Quello di oggi è il contributo ad un dibattito che deve articolarsi con forza in tutto il territorio regionale, a cui devono prendere parte le associazioni agricole, dei lavoratori dipendenti, della cooperazione e quant’altri, gli agricoltori ma anche i consumatori. Dobbiamo mettere in moto un dibattito che crei una grande sensibilità attorno a questa questione dell’agricoltura, che è uno dei perni fondamentali della qualificazione e dello sviluppo dell’intera regione Marche.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Benatti.

STEFANIA BENATTI. In questi primi dieci mesi le parole più ricorrenti nei lavori di questo Coniglio regionale sono state “agricoltura”, “sicurezza alimentare”, “sviluppo rurale”, “smaltimento dei materiali di rischio”. Credo che questo sia un dato significativo, non credo che nelle precedenti legislature ci siano esempi e numeri di questo genere. Ed è un dato significativo della rilevanza che ha assunto in pochi mesi la questione agricola come questione sociale, nel senso che interessa tutta la società, tutta la comunità. Sarei molto tentata, oggi, di fare un intervento nel dettaglio delle questioni poste, come hanno fatto diversi consiglieri, e la relazione dell’assessore è stata molto esaustiva, ma credo che a questo punto del dibattito sia più utile da parte mia fare un intervento che vorrei definire tutto politico, nel senso che il Consiglio regionale, oggi, deve anzitutto aprire un dibattito che poi si svilupperà nel tempo, nei prossimi mesi, fino alla elaborazione del piano agricolo regionale, quindi deve dare indirizzi al Governo regionale che permettano di fare delle scelte che sostengano il settore e ne permettano lo sviluppo. In questo senso voglio fare un intervento per esprimere con grande chiarezza il pensiero del gruppo I Democratici su ciò che la politica può fare e su come le istituzioni pubbliche devono intervenire perché il settore agricolo sia sostenuto e sviluppato. Vogliamo farlo assumendoci fino in fondo la responsabilità delle scelte, perché questo è ciò che i mondo esterno chiede alla politica, la responsabilità delle scelte. Oggi più che mai è il momento delle scelte e non è possibile credere che va tutto bene e che qualsiasi tipo di agricoltura può essere portata avanti nel territorio e qualunque tipo di politica agricola possa essere realizzata.
Prendo le mosse da una prima affermazione politica: l’Italia, l’Unione europea, la comunità internazionale, ma io vorrei dire anche il mondo, non possono più permettersi di avere un’agricoltura in balia degli eventi. Dobbiamo affermare con forza quella che è la realtà: è fallito il modello di un’agricoltura governata dalle leggi di mercato di altri settori, è fallito il modello di politica per l’agricoltura che dipendeva dalle politiche degli altri, e parlo di fatti. Negli anni ‘60 e ‘70 con il mito della meccanizzazione, per esempio: la scelta dello sviluppo industriale allora ha dettato leggi in tutta l’economia italiana. Al mondo agricolo è stato detto: volete adeguare i vostri redditi? Meccanizzate, comprate macchine, riducete i costi di produzione, aumentate le rese. La stessa cosa si è verificata negli anni ‘70 e ‘80 con l’invito a utilizzare la chimica per migliorare le prestazioni. Regole di altri settori, necessità di altri settori hanno governato l’agricoltura. Negli ultimi anni sono emerse le contraddizioni di queste politiche, basate non sull’interesse per l’agricoltura ma su quello per l’industria, e purtroppo in questi anni sono emersi disastri, in termini ambientali prima e oggi pericoli per la salute. Fortunatamente la Comunità europea ha cambiato rotta, ha cambiato le politiche, ha dato nuove indicazioni, ha fatto nuovi regolamenti, ma soprattutto, parallelamente, il mondo agricolo ha assunto iniziative autonome, lungimiranti, intraprendendo la strada del basso impatto ambientale, del biologico, della qualità, della certificazione. Una strada fino ad oggi intrapresa in senso unilaterale, volontaria. Quindi una prima indicazione politica e un primo indirizzo che dobbiamo tracciare oggi è quello che a mio giudizio la Regione è chiamata fino in fondo ad assumere il ruolo di programmazione e di coordinamento. La Regione deve governare le scelte, non deve solo registrare quello che succede nel mondo ma deve dire quello che vuole fare nel proprio territorio, quale modello di sviluppo economico prima che agricolo, e lo deve fare inquadrando l’agricoltura all’interno di un’area vasta economica, un’area che io chiamerei “agroalimentar-ambientale”.
Per tirare delle sintesi, dobbiamo fare in modo che ogni lira, o meglio ogni euro che investiamo nell’agricoltura abbia ricadute sull’intera economia regionale e soprattutto abbia effetti positivi sull’ambiente, sul territorio, sulla salute. Questo in passato è sempre successo in senso negativo, oggi dobbiamo far fruttare i soldi del contribuente facendo sì che possa averne beneficio l’agricoltura e, di conseguenza, possa averne beneficio la tutela dell’ambiente e soprattutto la salute dei cittadini. Quindi accettiamo, anche come istituzioni, la logica europea del confronto a tutto campo. Non più politiche settoriali, finanziamenti a questo o a quel settore, a tutti, ma un’agricoltura che siede al “tavolo buono”, della sala da pranzo, non in cucina vicino al focolare: il tavolo, appunto, delle politiche economiche e delle politiche sociali. Questo si traduce in rapporti diversi con la politica e con la pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda la politica, io non concerto un piano di sviluppo già fatto, o un Leader individuato e solo da chiosare, e magari, poi, faccio sedere l’agricoltura in quarta fila per i piani urbanistici o per quelli sociali. Per quanto riguarda la politica dobbiamo arrivare a una concertazione vera a tutto campo, sulle politiche economiche e sulle politiche sociali. Seconda questione, il rapporto con la pubblica amministrazione. Dobbiamo riorganizzare la macchina della pubblica amministrazione a partire dalla nostra struttura regionale. Non regge più l’impianto basato sui singoli assessorati, è necessaria un’integrazione forte fra i diversi assessorati e credo che sia stata l’esperienza della task-force che la Giunta ha attivato per la BSE. Ambiente, agricoltura, sanità, veterinaria devono lavorare fianco a fianco, devono costituire un tutt’uno al servizio del mondo agricolo ma anche al servizio del mondo dei consumatori, della collettività.
Il secondo e ultimo indirizzo riguarda la scelta di campo: quale agricoltura vogliamo valorizzare? Non ho tempo di motivare, do solo delle definizioni che però sottendono delle scelte precise, perché non tutte le scelte politiche valgono per realizzare questo tipo di agricoltura: un’agricoltura che produca beni alimentari e non alimentari, un’agricoltura che produca servizi ambientali, turistici e sociali. No a un’agricoltura parassita che lucra sui contributi della PAC e giustifica la rendita fondiaria. Su questo argomento la Regione deve essere estremamente chiara. Un’agricoltura che fa impresa, cioè che crea occupazione, economia, indotto, che assume la sfida del cambio generazionale e si confronta con il mercato. Un’impresa che competa in Europa ed abbia la stessa dignità e considerazione delle imprese artigiane, commerciali, industriali. Il concetto di “impresa” in senso moderno non prevede imprese di serie A e imprese di serie B. A questa impresa la Regione deve dare certezze nelle informazioni, soprattutto nei riferimenti giuridici. Dobbiamo concorrere con la legislazione nazionale anche in sede regionale, per definire i concetti di impresa agricola, di imprenditore agricolo a titolo principale e nelle altre forme, di aziende multifunzionali, di pool pluriattività. Cosa si intende? Che un imprenditore agricolo è tale se porta avanti anche altri servizi in termini ambientali, turistici e sociali. Oggi non è possibile, oggi è definito imprenditore agricolo solo quello che produce beni alimentari. Se è vero come è vero, che oggi l’agricoltura è chiamata a svolgere un ruolo anche in altri settori, dobbiamo concorrere con la legislazione nazionale perché le definizioni siano chiare, perché a partire dalle definizioni giuridiche conseguono politiche in termini fiscali, tributari, previdenziali e così via.
La Regione deve dare certezze in termini di informazioni sulle politiche comunitarie, sull’accesso ai finanziamenti, sulla possibilità che questi finanziamenti vengano concretamente utilizzati dai nostri concittadini. Un aiuto concreto che deve venire da una nuova e più moderna organizzazione degli uffici dell’assessorato, un ruolo da potenziare e da rivedere per quanto attiene all’Assam e soprattutto la Regione deve entrare nella logica che siamo chiamati a camminare insieme. Il mondo delle imprese e delle istituzioni devono confrontarsi per camminare insieme, per far procedere la società marchigiana in una Europa globalizzata. Questo consiste, molto spesso, anche nel rovesciare i termini della questione. Non solo vedere cosa la Regione può fare per l’agricoltura, ma anche vedere ciò che l’agricoltura sta già facendo per la Regione, quindi la valorizzazione delle politiche e delle risorse che abbiamo sul territorio è uno strumento perché la Regione possa presentare un’immagine delle Marche. Questo significa svolgere una grande azione — l’abbiamo detto nei dibattiti precedenti per quanto riguarda gli OGM, per quanto riguarda la BSE — e una grande opera di informazione e comunicazione con l’esterno. Deve sostenere l’agricoltura marchigiana presentandola come immagine della regione stessa. Abbiamo avanzato da tempo la proposta di utilizzare anche i finanziamenti per il turismo per presentare un’immagine che passa attraverso i nostri vini che prendono premi mondiali per la qualità, attraverso la nostra carne da tempo certificata e di gran valore, attraverso i nostri prodotti tipici.
Crediamo che questo matrimonio tra immagine delle Marche e immagine delle nostre produzioni sia destinato a durare, sia un’immagine vincente e soprattutto sia un modo diverso di affrontare i rapporti tra un settore produttivo e le istituzioni. Non rapporti fondati su “ti aiuto perché devi sopravvivere”, ma un rapporto che sia basato sull’assunto “lavoriamo insieme, investiamo insieme le nostre risorse migliori in termini di personale, di finanziamento, di intelligenze e di imprenditorialità, perché insieme dobbiamo vendere le Marche e l’Europa nel mondo”.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cesaroni.

ENRICO CESARONI. Oggi abbiamo fatto una discussione generale sul discorso dell’agricoltura e l’assessore con grosso sforzo ha relazionato sulle difficoltà che il settore agricolo tutti i giorni incontra.
Da tempo vengono fatte relazioni e discorsi a favore dell’agricoltura in questo Consiglio con risultati disastrosi, perché, senza dare alcuna responsabilità all’assessore che oggi ha questa responsabilità, in sei anni siamo riusciti a spendere centinaia di miliardi nel settore dell’agricoltura, finanziamenti che dovevano andare alle aziende agricole per la ristrutturazione, ma a causa di una pesante burocrazia certi obiettivi n on sono mai stati portati avanti. Oggi ci troviamo di fronte ai finanziamenti del primo anno del piano di sviluppo agricolo che vanno a coprire — 100 miliardi — le domande dell’Obiettivo 5b, cosa veramente assurda, perché noi avevamo finanziamenti che dovevano essere impegnati nella precedente legislatura interamente. Invece non abbiamo impegnato tutti i finanziamenti, li abbiamo anche rimandati indietro e da altre parti ci mancano decine e decine di miliardi, vedi i giovani che non sono stati pagati e che non si sa se saranno pagati,, se la Cee accetterà certi tipi di variazioni che abbiamo chiesto. Abbiamo 10 miliardi di “premio giovani” bloccati. Noi penalizziamo i giovani che si inseriscono in agricoltura dal 2000 al 2006, perché sono finanziamenti che arrivavano sul mercato del lavoro e costituivano aziende.
La stessa cosa vale per gli investimenti. Il 2000 l’abbiamo perso, dopo il 2003 non si faranno più domande sul PSA. Questo piano di sviluppo aziendale va dal 2000 al 2006, invece funzionerà dal 2001 al 2003, perché riusciremo a concludere i finanziamenti nel 2003.

FERDINANDO AVENALI. Ma no: quelli sono i bandi.

ENRICO CESARONI. E cosa significa? Che le domande si fanno fino al 2003. Questa è una cosa che dobbiamo rivedere anche a livello Cee, insieme ad altre situazioni che tagliano fuori le Marche rispetto a tante cose.
Questo è il settore più importante per l’economia nazionale, l’unico settore che produce in Italia, perché gli altri sono settori di trasformazione. E’ l’unica ricchezza che sia lo Stato nazionale che la Regione Marche fino ad oggi hanno abbandonato non dando risposte positive alle richieste dei coltivatori. E’ un settore rispetto al quale abbiamo pochi finanziamenti, l’80% degli addetti sono pensionati che non hanno possibilità di costituire aziende valide, abbiamo una coltivazione monocolturale, senza specializzazione. Dobbiamo veramente dare una forte sterzata per un’agricoltura diversa, basata soprattutto sui giovani, aiutando veramente i giovani, non solo a parole, perché ne abbiamo dette anche troppe in questo Consiglio e i fatti non ci sono stati.
L’altra cosa grave che la Regione Marche ha sempre predicato riguarda — lo diceva sempre l’ex Vicepresidente Berionni — gli aiuti alla montagna: tante parole, tante leggi, pochi fatti, nessun finanziamento. Ogni giorno in quelle zone continua lo spopolamento. Questo non è soltanto un problema agricolo ma ambientale soprattutto, perché se nel territorio non c’è il presidio dei coltivatori significa disastri ambientali, ecologici.
Dobbiamo cercare di modificare questa agricoltura, assessore, perché non possiamo avere soltanto un’agricoltura legata alla PAC. Finché ci sarà il contributo della PAC la nostra agricoltura esisterà, ma quando non ci sarà più il contributo della PAC la nostra agricoltura chiuderà, perché non sarà più competitiva, non avrà più alcuna possibilità. Dobbiamo allora organizzarci prima e non aspettare che non vi siano più i finanziamenti della PAC. Dobbiamo creare aziende valide prima che succeda questo, altrimenti siamo sempre in difficoltà, sempre a rincorrere, invece dobbiamo cercare di creare aziende valide, soprattutto basate sui giovani. Dobbiamo aiutare i giovani a creare aziende valide e competitive sul mercato, altrimenti fra 3-4 anni le nostre aziende saranno costrette a chiudere o andranno in mano a grossi imprenditori, gente che di agricoltura sa ben poco o forse solo industriali, perché oggi sono gli industriali che acquistano i terreni per fare investimenti.
E’ importante, come Regione Marche che sosteniamo il discorso all’interno dell’Obiettivo 2, perché sono zone svantaggiate che hanno bisogno di sostegno e di creare attività valide. Qui abbiamo parlato giorni interi: sui patti territoriali, a quanta gente abbiamo fatto fare pratiche, documentazione, spese per i tecnici? Io penso che sia stata fatta una legge soltanto per finanziare i tecnici, non l’agricoltura, perché i finanziamenti non sono arrivati, non arrivano, non si sa niente e a mio giudizio la colpa è del Governo regionale che non ha sostenuto come doveva, a livello nazionale, i nostri patti territoriali. Erano finanziamenti extra e non è stata data la possibilità ai nostri agricoltori di usufruirne.
Caro assessore, noi dobbiamo sostenere i nostri patti territoriali in agricoltura a livello governativo, perché è l’unica possibilità che abbiamo di prendere finanziamenti in più, fuori del PSA. Non è possibile che abbiamo atto fare decine e decine di domande in tutte le province e poi non funziona niente: non ci sono finanziamenti, non arriva niente, non sono state date risposte, i coltivatori stano aspettando. Bisogna dare risposte chiare agli agricoltori, anche perché oggi le difficoltà le trova chi ha fatto domanda con il patto territoriale e non dovrebbe farle con il PSA. Fra cinquanta giorni scadranno i termini per la presentazione delle domande con il PSA. I coltivatori hanno fatto domanda con la Provincia e non la possono fare con la Regione, quindi una risposta va data, altrimenti facciamo lavorare soltanto gli studi tecnici e i progettisti che vengono pagati, ma le strutture non vengono realizzate.
Ho visto anche le richieste delle associazioni di categoria al Governo, tutte sulla stessa linea. Anche qui c’è una grossa realtà da cambiare: non possiamo sostenere soltanto iniziative e finanziamenti a favore solo delle organizzazioni, perché i finanziamenti dell’agricoltura a volte sono anche tanti, ma si fermano nelle organizzazioni professionali e questo non è possibile.
L’altra cosa veramente vergognosa è il rapporto che c’è tra il coltivatore, le istituzioni e i nostri uffici agricoli di zona. Noi abbiamo diversi uffici agricoli di zona sul territorio e ognuno ha un comportamento diverso dall’altro: una pratica va bene a Macerata e non va bene ad Ancona; va bene ad Ascoli e non va bene a Pesaro. Abbiamo uffici agricoli di zona che penalizzano l’agricoltura, mentre invece dovrebbero essere a sostegno dell’agricoltore, perché sono funzionari pubblici, regionali, che devono stare a fianco del coltivatore per portare avanti le iniziative, non fare gli esattori delle tasse nei confronti del coltivatore stesso, bloccando le iniziative. Dobbiamo cambiare questo stile, caro assessore e nel territorio vi devono essere comportamenti uniformi, agevolazioni uniforme, non che uno a l’esattore delle tasse e uno aiuta il coltivatore. Questo è fondamentale. I coltivatori hanno bisogno di strutture tecniche a supporto e devono essere gli uffici agricoli di zona a farlo, non che troviamo gli uffici agricoli di zona contro il coltivatore. Questa è la realtà dei fatti ed è la cosa più pericolosa. E’ ora di cambiare questo sistema e forse qualcosa sul territorio si può migliorare se c’è volontà politica da parte della Regione.
Io non sono d’accordo con la collega Benatti che dice che non bisogna dare finanziamenti all’agricoltura. Noi dobbiamo fare delle scelte, ma finanziare dei settori e creare aziende valide che possano mantenersi nel tempo, con giovani, soprattutto, perché fra 4-5 anni non ci saranno più finanziamenti della PAC e se non vogliamo chiudere l’agricoltura marchigiana, tutta legata al filo della PAC, dobbiamo cambiare le basi, aiutando a creare aziende valide e competitive sul mercato. Poi, tutto il discorso che ha fatto il consigliere Avenali sulla commercializzazione, sulla pubblicità dei nostri prodotti, sul discorso del vino è anche invisibile. La nostra regione ogni anno vince il primo premio per il miglior vino a livello mondiale: purtroppo non riusciamo a sfondare in questo mercato più di tanto. Se non facciamo urgentemente il catasto vitivinicolo rischiamo di avere 6.000 ettari di vigneto indicati catastalmente in più, che in realtà non ci sono. Oggi che ci sono i finanziamenti dobbiamo fare gli impianti, perché non vorrei che fra tre anni avessimo un risultato del catasto vitivinicolo in base al quale si dice che possiamo impiantare 5.000 ettari di vigneto e poi non ci sono più i finanziamenti, oppure deve essere la Regione a dare finanziamenti per gli impianti. Questo dobbiamo farlo subito, cercando di usufruire dei finanziamenti all’interno del piano di sviluppo agricolo. Sono cose urgenti da fare. Nelle Marche non abbiamo tanti prodotti per poter essere primi in Italia e nel mondo, ma uno di questi prodotti è il vino e questo va sostenuto in tutte le maniere, cercando di essere competitivi sul mercato e cercando di fare promozione di questo prodotto, insieme al discorso del turismo e dell’agriturismo, perché quella è un’altra fonte di ricchezza che possiamo sfruttare, anche perché abbiamo la fortuna di avere un territorio che si addice al discorso mare-montagna. Bisogna fare dei piani per incrementare lo sviluppo mare-montagna nell’agriturismo, con la divulgazione dei prodotti tipici marchigiani. Se riusciremo a fare questo, penso che riusciremo a trattenere le persone nelle zone svantaggiate a continuare a fare i coltivatori, a creare aziende valide, che producano reddito. Il problema riguarda sempre la competitività e il reddito, ma vi chiedo: per quale motivo i nostri mangimifici mettevano farina di carne nei mangimi? Per quale motivo l’agricoltore acquistava i mangimi con la farina di carne? Perché costavano meno e facevano crescere di più l’animale, perché era un discorso di mercato. Se noi facciamo un discorso di genuinità devono aumentare i prezzi, perché chi lavora deve guadagnare, non c’è dubbio. Se non c’è un discorso di competitività di mercato, l’agricoltore usa i prodotti che trova a meno prezzo, perché è normale. Bisogna cercare di entrare sui mercati con prezzi competitivi, con prodotti controllati e genuini, altrimenti l’agricoltore intende risparmiare in tutti i modi. Oggi è legato soltanto al contributo PAC e senza quel contributo l’agricoltura marchigiana oggi sarebbe scomparsa, chiusa, perché i prezzi che ci sono oggi non sono competitivi. Questo dobbiamo cambiare.
Se riusciremo a dare una risposta valida e concreta agli agricoltori, avremo fatto qualcosa di buono per l’agricoltura, altrimenti, come sempre, avremo speso tempo, denaro e avremo dato solo illusione all’agricoltura senza concretizzare niente.

PRESIDENTE. La seduta è sospesa. Riprenderà alle ore 16. Se siete d’accordo, alla conclusione del dibattito e prima di votare le risoluzioni, possiamo trattare il Leader e poi riprendere le votazioni sulle risoluzioni.


La seduta termina alle 13,45